Il racconto dello psicologo ed ex parlamentare forzista: "Dopo aver battuto Chiamparino venni dimenticato quasi subito"

Quel 27 marzo del’94 in cui Silvio Berlusconi con Forza Italia vinse le elezioni “credo di avere fatto la mia parte”. Parola di Alessandro Meluzzi psicologo, psicoterapeuta, criminologo, docente di Psichiatria forense, ma anche l’uomo che, candidato dal Cavaliere nelle fila degli azzurri, in quella storica consultazione elettorale riuscì a espugnare il fortino sino ad allora ritenuto inespugnabile della sinistra, il quartiere operaio torinese di Mirafiori, sconfiggendo Sergio Chiamparino proprio in quel collegio, e diventando deputato. Ma come fu il day after della storica vittoria a Mirafiori? “Quando vinsi contro Chiamparino non ebbi messaggi o ringraziamenti o gratificazioni particolari da Berlusconi – risponde Meluzzi, intervistato da LaPresse – non mi fece nemmeno sottosegretario nel suo governo. Venni dimenticato quasi subito. Sono sempre stato un outsider”.

“Io ho preso la tessera numero 3 o 4 di Forza Italia, dopo che la presero pochi altri protagonisti della nascita del partito di Berlusconi, come Giuliano Urbani e Giovanni Pilo, il sondaggista con cui a casa di Berlusconi visionavamo i filmati per i casting dei candidati alle elezioni. E naturalmente ricordo quel 27 marzo ’94 per la mia significativa vittoria, in quel marzo della libertà”, racconta Meluzzi, che però non si sentiva parte del cerchio magico del Cavaliere. “Nel cerchio magico c’erano solo Gianni Letta e Fedele Confalonieri, gli altri erano tutti gregari”.

Fu una vittoria elettorale non scontata a quei tempi quella di Meluzzi nella Torino operaia. “Vinsi contro Chiamparino, uomo della sinistra sì, ma espressione dell’establishment torinese. – tiene a sottolineare il criminologo con un passato nella politica – Nel mio collegio incontravo gli operai e non dovevo fare nulla per farmi riconoscere. Mi conoscevano come il primario di psichiatria che in quel quartiere si occupava dei loro figli e del loro problemi”. “A un certo punto compresi che il mondo era cambiato e che il ‘proletariato’ aveva capito chi stesse davvero dalla loro parte. Alla fine io ero più di sinistra di Chiamparino”, conclude Meluzzi.

“Io poi con Berlusconi litigai varie volte. E alla fine me ne andai nel ‘1997 con Cossiga e a Berlusconi dissi il perché della mia scelta: non lo vedevo portare avanti il progetto di una vera rivoluzione liberale. Quella del Cavaliere, sotto questo punto di vista, è rimasta una vittoria incompleta: è stato un grande uomo della conservazione alla fine. Ma di Berlusconi nella storia ne nasce solo uno in un secolo, uno come lui che ha riunito capacità imprenditoriali, di comunicazione, di catalizzare molto consenso popolare”.

Un passato in politica, nella sinistra, nel movimento studentesco, membro del Comitato centrale della Fgci, quando D’Alema ne era segretario, nel Pci, poi Nuova Società al tempo dell’uscita di Giuliano Ferraa dal Pci, e l’approdo al Psi e al Craxismo negli anni’80. “La mia scelta di aderire a Forza Italia arriva quando durante Tangentopoli vedevo i miei compagni socialisti portati via coi cellulari della polizia al mattino. – spiega Meluzzi – Allora capii che era in atto una pseudo rivoluzione giudiziaria che dopo la caduta del muro di Berlino avrebbe dovuto portare al potere i resti della sinistra democristiana e il Pci, in quella ispirazione catto-marxista-comunista dello Stato e della magistratura che domina tuttora l’Italia attraverso il Pd. Nel 1994 la mia sostanzialmente fu una candidatura socialista”. Meluzzi poi ricorda in clima di quegli anni: “In Forza Italia agli inizi si respirava il mondo craxiano della modernizzazione, il mondo delle televisioni private, c’era una modernità riformatrice che avanzava, di cui Berlusconi in modo geniale ha cavalcato l’onda”.

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