Difficile che il segretario riesca a reggere una sconfitta di queste proporzioni. La seconda in una anno dopo il referendum
Quando era ancora notte fonda e l'alba appariva piuttosto lontana, quando su Roma e sul Nazareno di abbattevano secchiate d'acqua, quando non c'era trasmissione tv che non certificasse l'agonia politica di un ex grande partito ridotto a bonsai dalle ultime elezioni, la voce è cominciata a circolare con insistenza sulle chat parlamentari: appuntamento lunedì, alle 11 di mattina, perché Matteo Renzi certifica la sconfitta, anzi il tracollo, e (forse) se ne va. Lasciando dietro di sé macerie, rabbia e preoccupazioni.
Quando è ancora notte fonda e i sondaggisti sparano proiezioni come se imbracciassero un mitragliatore, il Partito Democratico scivola dal 20 per cento al 19 e poi ancora più giù, sotto la soglia dell'immaginabile. E sente persino il fiato sul collo della Lega, che prepara il sorpasso e sogna di diventare il secondo partito italiano.
Perché il primo, il Movimento 5 stelle, sta avanti. Molto avanti. Oltre il 32 per cento. Ed è qui, di fronte all'ineluttabilità dei numeri, alle immagini di Luigi Di Maio che festeggia in camicia, a Brunetta che si sente un gigante sbandierando il numero dei seggi conquistati in Senato e alla Camera, che probabilmente il signor Matteo deve aver accarezzato l'idea di mollare tutto, anche se pochi giorni fa aveva detto l'esatto contrario. Forse più per esorcizzare lo spettro di una debacle che per resistere oltre ogni logica di buonsenso.
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