Di Alessandra Lemme
Roma, 30 ott. (LaPresse) – “Chi mi ha accoltellato ha 26 nomi e altrettanti cognomi e mi pare un unico mandate“. Finisce con una conferenza stampa al veleno l’esperienza da sindaco di Roma di Ignazio Marino e con un attacco neanche troppo velato al presidente del Consiglio e segretario del suo partito, Matteo Renzi. “Con lui non ho avuto nessun rapporto turbolento – sottolinea Marino -, semplicemente da un anno non abbiamo rapporti”. L’attacco del sindaco arriva poco dopo le dimissioni di 26 consiglieri che determinano lo scioglimento dell’assemblea capitolina e la fine della consiliatura. “Il Pd ha negato il proprio stesso nome e il proprio dna. Io sapevo che dal notaio si va per vendere o comprare qualcosa”, sottolinea Marino in riferimento alla vicenda delle dimissioni in blocco con le quali di fatto il Pd mette la parola fine della sua avventura da sindaco”, “e chi si definisce democratico non può intendere la politica come qualcosa che si compra o si vende”.
Alla domanda su quale saranno i suoi futuri rapporti con il Pd il chirurgo risponde: “Ho contribuito a fondare questo partito. Per me l’idea di un Partito democratico veramente tale è fondamentale. Certo poi quando un familiare ti accoltella tu dopo rifletti se sia stato un gesto inconsulto o premeditato. Questa riflessione non l’ho ancora fatta“. La risposta di Renzi arriva nel giro di meno di un’ora: il premier-segretario sottolinea nel corso di un’intervista che “al Pd interessa Roma, non le ambizioni di un singolo, anche se sindaco”, e chiude la polemica cercando di darle il minor risalto possibile: “Questa pagina si è chiusa, ora basta polemiche, tutti al lavoro”.
Parla per quasi mezz’ora Ignazio Marino: critica il Pd – “mi ha deluso perché ha rinunciato alla democrazia” -, spiega che avrebbe voluto confrontarsi con l’assemblea capitolina per avere anche una sfiducia, ma pubblica e secondo le “regole della democrazia”. Poi, il chirurgo fa l’elenco delle scelte compiute dalla giunta in 28 mesi di lavoro: dagli sforzi per rimettere in ordine il bilancio capitolino, alla chiusura della discarica di Malagrotta, dalla chiusura dei residence per l’emergenza abitativa al progetto del nuovo stadio della Roma, dalle nuove regole negli affidamenti degli appalti alla lotta al malaffare uscito dalle inchieste su Mafia Capitale. “Ci siamo ritrovati con tanti problemi da risolvere e abbiamo riconquistato dignità, rispetto e orgoglio”, dice Marino. L’amarezza nel ‘marziano’ è tanta e lui, che si definisce “non un martire, ma un lottatore”, finisce la sua esperienza in Campidoglio lottando a parole contro il suo partito: “Si può uccidere una squadra, ma non si possono fermare le idee”.
Mentre Marino parla, i 26 consiglieri dimissionari che hanno messo fine alla travagliata consiliatura lasciano il Campidoglio: tra di loro, oltre ai 19 Pd e due della lista civica, ci sono anche cinque consiglieri di opposizione. Il silenzio dei protagonisti delle ‘dimissioni in blocco’ dura da un paio di giorni e fa pensare che la vicenda abbia creato tra gli ex consiglieri dem più di un malumore. Quale sarà il futuro dell’ex primo cittadino non è dato sapere. Mentre a Roma arriva il prefetto di Milano Franco Tronca che, da commissario della capitale, avrà il difficile compito di traghettare la città attraverso il Giubileo, fino alle elezioni della prossima primavera.
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