Milano, 3 ott. (LaPresse) – “Se facciamo l’analisi della guerra di Libia è un episodio di insensatezza politica al di là di ogni considerazione“. Così Romano Prodi, parlando ad un evento sull’Africa all’Expo, in merito alla crisi libica. “Il discorso di riassestare la Libia e importantissimo – prosegue – non si può fare senza un accordo tra le grandi potenze, perché sono guerre in cui tutti vogliono mettere becco. Se non c’è un interesse dall’alto, il problema del terrorismo non si risolve”. Ricostruendo l’attacco alla Libia del 2011, Prodi spiega: “Attaccare guerra senza sapere cosa viene dopo, in un Paese frammentato che tra l’altro gli italiani conoscevano bene, voleva dire accendere un fuoco che poi non si riesce più a spegnere” spiega ancora l’ex premier. Ed attacca ancora chi decise e appoggiò quell’attacco: “Se uno fa l’analisi della guerra di Libia è una delle cose più incomprensibili che noi abbiamo avuto nella storia”.

Prodi ricostruisce quanto accaduto, anche in virtù del suo ruolo di inviato dell’Onu nel Sahel: “Sia chiaro Gheddafi era un dittatore, però quando si attacca un dittatore si deve sapere quello che si vuole. Anche il problema dell’immigrazione: volete che Gheddafi non mi minacciasse di mandarmi dei barconi? Ma quante volte ho discusso e ho evitato questo?”. “Perché alla fine un ‘poteraccio’ – prosegue Prodi – ma un potere c’era. Una controparte c’era”. “E’ quando si distrugge questo senza sapere dove si va a finire che si fa la più grande tragedia politica della storia di questo mondo – conclude Prodi – perché gran parte delle tensioni che abbiamo, sono frutto di questo, perché la gente deve sapere che quando è stato sfasciato lo stato libico i mercenari, i soldati dell’esercito che mantenevano questa povera struttura economica, hanno preso quello che c’era: e cosa c’era? Le armi, e in Libia c’erano 4-5 milioni di kalashnikov, c’era la borsa del kalashnikov, quando ero in Mali”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata

Tag: