Roma, 6 dic. (LaPresse) – “Come Commissione antimafia avevamo acceso i riflettori su Roma, eravamo al corrente di un lavoro della Procura che ha portato a individuare un modello di mafia ‘originario e originale’. Una mafia di Roma, non una mafia a Roma. Ora è chiaro che continueremo il nostro lavoro”. A raccontarlo in un’intervista a ‘La Stampa’ è Rosy Bindi, esponente del Pd. “Io ritengo – spiega Bindi – che non si dovrebbero usare pratiche che consentano ai Buzzi di potersi avvicinare al partito, o ai Di Stefano (deputato Pd indagato in un’altra inchiesta, ndr.) di coordinare i tavoli della Leopolda”.

“I partiti – sottolinea Bindi – vanno aperti non per prendere finanziamenti, ma per stare in mezzo alle persone. La politica che trasforma i diritti in favori per scambiarli con i voti non fa il suo mestiere”. Se fosse nei panni del sindaco di Roma Ignazio Marino, cosa farebbe? “Direi al prefetto e al ministro dell’Interno: aiutatemi a capire dove sta il marcio, e ad asportarlo. Sciogliere un comune è sempre un trauma per la comunità: affiancare al sindaco una struttura di supporto per l’opera di bonifica del comune potrebbe essere la soluzione”.

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