L'aumento della spesa per la difesa dovrà avvenire entro il 2035 ma tra quattro anni tutto può ancora cambiare
“Ce l’ho fatta. La Nato ha aumentato drasticamente la spesa per la difesa fino al 5% del Pil, una cosa che nessuno avrebbe mai creduto possibile”. Se ne va soddisfatto dal vertice dell’Aja il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. E’ una dichiarazione insolitamente breve e concisa quella che i 32 leader dell’Alleanza atlantica hanno sottoscritto: si parla della “minaccia a lungo termine rappresentata dalla Russia per la sicurezza euro-atlantica”, con Mosca non più definita come “la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli Alleati” come negli anni passati.
The Hague Summit Declaration issued by the Heads of State and Government participating in the meeting of the North Atlantic Council in The Hague#NATOsummit
— NATO (@NATO) June 25, 2025
Nato e Ucraina
Sull’Ucraina c’è solo un breve capitolo, con “l’impegno sovrano duraturo” degli alleati “a fornire supporto a Kiev”. Non c’è più l’aumento del “sostegno a lungo termine all’Ucraina”, né il riferimento al futuro percorso di adesione dell’Ucraina nella Nato, sancito negli ultimi vertici. Fugati anche i timori di un disimpegno Usa verso gli alleati europei, considerati più volte dal nuovo inquilino della Casa Bianca ingrati e non degni di essere soccorsi in caso di attacco.
Investire il 5% del Pil
“Riaffermiamo il nostro ferreo impegno per la difesa collettiva, come sancito dall’Articolo 5 del Trattato di Washington: un attacco a uno è un attacco a tutti”, si legge nel testo. Il vertice dell’Aja, tuttavia, sarà ricordato per la svolta sulle spese per la difesa. Gli alleati si impegnano a “investire il 5% del Pil all’anno in requisiti fondamentali per la difesa, nonché in spese relative alla sicurezza, entro il 2035“. E stanzieranno almeno il 3,5% del Pil all’anno, sulla base della definizione concordata di spesa per la difesa della Nato, entro il 2035, ai requisiti fondamentali per la difesa e al raggiungimento degli Obiettivi di Capacità della Nato”, capacità che vengono ridefinite ogni quattro anni.
🆕 NATO Allies have agreed to invest 5% of their GDP annually in defence.
A substantial commitment in response to significant threats to our security#NATOsummit pic.twitter.com/eFgwH3pfrR
— NATO (@NATO) June 25, 2025
Obiettivi rivisti tra 4 anni
“Gli Alleati concordano di presentare piani annuali che indichino un percorso credibile e progressivo per raggiungere questo obiettivo”. Gli Stati dovranno poi investire un altro 1,5% per “proteggere le infrastrutture critiche, difendere le reti, garantire la nostra preparazione e resilienza civile, stimolare l’innovazione e rafforzare la nostra base industriale di difesa”. “La traiettoria e l’equilibrio della spesa saranno rivisti nel 2029, alla luce del contesto strategico e degli Obiettivi di Capacità aggiornati”, si legge ancora nel testo. Insomma, fra quattro anni, quando probabilmente non ci saranno più i governanti di oggi, e forse nemmeno Trump, è l’auspicio di molti alleati, questi obiettivi potrebbero essere anche rivisti.
Cosa ne pensa Meloni
L’Italia, che a fatica ha raggiunto il target del 2% deciso nel 2014, giusto al termine del decennio fissato, dopo aver temuto e ritenuto impossibile per mesi un incremento al 3,5%, ha accettato il nuovo obiettivo. Per la premier Giorgia Meloni si tratta di una “decisione sostenibile”, presa “con cognizione di causa, facendo le nostre valutazioni con il ministro dell’Economia”. “C’è una flessibilità totale”, afferma, “per l’ampiezza delle spese, per il fatto che noi parliamo di un impegno da 10 anni, per il fatto che nel 2029 si deve in ogni caso ridiscutere, per il fatto che non ci sono incrementi obbligati annuali per gli Stati membri”.
E “per l’Italia sono spese necessarie per rafforzare la nostra difesa e sicurezza in un contesto che lo necessita” senza distogliere “neanche un euro dalle altre priorità del governo”.
Le critiche di Schlein
Un target che per la segretaria del Pd, Elly Schlein, invece è “irrealistico, dannoso e sbagliato” per l’Italia che non ha scelto la strada intrapresa dal premier spagnolo Pedro Sanchez, che per la leader dell’opposizione, “ha dimostrato che si può dire No, Giorgia Meloni non sa mai dire ‘no’ a Donald Trump”.
Polemiche su Sanchez
La posizione del premier spagnolo continua a far discutere e ha suscitato molte critiche nel vertice. Tanti leader hanno biasimato l’interpretazione del leader socialista, che continua a ritenere di aver ottenuto una deroga a poter spendere solo il 2,1%, grazie a una lettera del Segretario generale Mark Rutte. La premier, così come tanti altri leader, ha constatato che anche Sanchez ha firmato gli stessi impegni di tutti.
Molto più indispettito il capo della Casa Bianca: “È terribile ciò che fatto la Spagna, farò in modo che paghi il doppio” sui dazi”, ha tuonato. A conti fatti, è stato il vertice di Trump, che ha spinto gli alleati europei e lo stesso Segretario generale Mark Rutte a rivedere i rapporti di forza nell’alleanza. E l’ex premier olandese non ha risparmiato elogi all’azionista di maggioranza della Nato sull’Iran e sul 5%: “Trump è un uomo di pace”, il suo commento.
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