La piccola comunità israeliana al confine con la Striscia è tra quelle prese d'assalto dai miliziani palestinesi il 7 ottobre scorso

La devastazione fuori e dentro le case, i cartelli con le foto e i nomi delle vittime, i buchi dei proiettili. Il kibbutz di Kfar Aza, in Israele, si mostra così oltre 4 mesi dopo il massacro Hamas del 7 ottobre. Kfar Aza si trova a nel deserto del Negev, a circa un km in linea d’aria dal confine con la Striscia di Gaza, ed è stato il luogo simbolo della strage. Gli uomini armati distrussero il cancello, spararono contro gli abitanti e diedero fuoco a case e auto. 

L’attacco del 7 ottobre, prima i missili poi l’assalto

Alle 6.30 del mattino dello scorso 7 ottobre i 950 abitanti del kibbutz di Kfar Aza, a meno di un chilometro dalla Striscia di Gaza, sono stati svegliati dal suono delle sirene. Immediatamente si sono recati nei rifugi ma non potevano immaginare che quello fosse solo l’inizio dell’incubo. Contestualmente all’attacco missilistico, durato 15 minuti, infatti 350-400 miliziani di Hamas hanno fatto irruzione nel kibbutz forzando le porte di ingresso dei rifugi, che dovendo essere raggiunti velocemente non hanno chiusure particolarmente sofisticate, uccidendo chiunque si trovasse davanti a loro bruciando abitazioni e sequestrando civili. Il bilancio per gli abitanti di questa piccola comunità, una delle ventidue attaccate il 7 ottobre, è stato nefasto: su poco meno di 1000 abitanti 63 sono morti, 6 sono stati gravemente feriti e 19 rapiti, cinque di loro si trovano ancora prigionieri a Gaza. Un’ulteriore ferita alla comunità del Kibbutz è arrivata un paio d’ore dopo i primi attacchi quando un secondo gruppo di persone – secondo quanto riportato in un briefing sul posto a cui LaPresse ha preso parte -, fra cui anche semplici abitanti civili della Striscia, avrebbe invaso la comunità per commettere furti e reati a sfondo sessuale. “Prima del 7 ottobre eravamo convinti che dall’altra parte non ci fossero solo terroristi ma anche persone ‘non coinvolte’ con cui collaborare nell’ottica di una vita migliore – ha spiegato un abitante di Kfar Aza presente sul posto il 7 ottobre – dopo che anche loro hanno commesso questi crimini abbiamo capito che dovevamo guardarli in maniera differente. Spero che la nostra storia venga raccontata in tutto il mondo”, ha concluso.

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