La lettera affidata ai suoi legali, pubblicata da LaPresse già il 29 novembre

Parlava di detenuti al “guinzaglio“, giunzaglio tenuto “in mano dall’agente di scorta”. Detenuti obbligati a stare rivolti “verso il muro” reclusi “23 ore su 24” in celle all’interno di sezioni miste uomini e donne con “cimici, scarafaggi e topi”, il memoriale che Ilaria Salis affidava dal carcere di Budapest ai suoi legali e che LaPresse pubblicava già il 29 novembre 2023. Le parole dell’anarchica milanese 39enne, da febbraio in carcere a Budapest per aver partecipato agli scontri con i neonazisti europei in occasione della ‘Giornata dell’Onore‘, si leggono in una lettera di 18 pagine che i legali Eugenio Losco e Mauro Straini hanno depositato a novembre alla Corte d’appello di Milano: una memoria nel procedimento di estradizione a carico di Gabriele Marchesi, 23enne milanese ora ai domiciliari, coimputato della donna in Ungheria e per il quale è stata chiesta la consegna con le accuse di lesioni aggravate, ‘potenzialmente letali’. Marchesi era poi finito ai domiciliari: non è ancora stato estradato, per il momento, come era stato richiesto invece dall’Ungheria. L’udienza per la decisione, rimandata più volte, dovrebbe tenersi il 13 febbraio.

Il racconto di Ilaria Salis

Nelle lettere dal carcere la donna racconta di essere stata “costretta a indossare abiti sporchi” inclusa la biancheria intima per “circa 5 settimane”, fino a quando il Consolato italiano non è stato autorizzato a consegnarle il primo pacco. I colloqui con i difensori ungheresi avvengono alla “presenza di una guardia” e per sei mesi e mezzo le è stato vietato qualunque contatto, compresi i genitori. Il suo interrogatorio del 28 febbraio scorso sarebbe avvenuto in assenza di avvocati e di interprete e in cella lo spazio a disposizione per ogni detenuto sarebbe inferiore ai 3,5 metri quadrati. “Alcuni giorni l’ora d’aria è in concomitanza con la doccia quindi capita di saltare l’aria o la doccia”, scrive l’anarchica. Salis parla di reclusi obbligati a lavorare “a tempo pieno” in carcere per 50 euro al mese, mancate retribuzioni per i detenuti stranieri, controllo della corrispondenza e uomini tenuti al guinzaglio. “Qui ti mettono un cinturone di cuoio – scrive – con una fibbia a cui legano le manette”. “Anche i piedi sono legati tra loro” e “intorno alle caviglie mettono due cavigliere di cuoio chiuse da due lucchetti e unite tra loro da una catena lunga circa 25 centimetri“. “Legata così – aggiunge – ho dovuto salire e scendere diversi piani di scale. Si rimane legati così per tutta la durata dell’udienza“. 

“Ho fatto mammografia ma non mi danno referto”

“Avevo un appuntamento fissato in Italia alla fine di marzo per un’ecografia al seno: diversi dottori in Italia mi hanno raccomandato di controllare periodicamente. A metà giugno mi hanno finalmente portato in un ambulatorio dove mi hanno fatto ecografia e mammografia. Io non ho ricevuto nessun referto scritto, che invece è stato consegnato al medico del carcere, a cui sia io sia l’avvocato abbiamo chiesto più volte che il referto sia inviato all’avvocato, ma al momento non gli hanno ancora inviato niente”, scrive ancora Salis nella sua lettera. 

 

 

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