L'area del Nord Kivu dove è stato ucciso l'ambasciatore italiano al centro di tensioni e conflitti

La Repubblica Democratica del Congo, nel cuore dell’Africa, ha una storia recente marcata da violenze, guerre civili e corruzione. Paese vasto quasi quanto tutta l’Europa occidentale – esteso per 2,34 milioni di chilometri quadrati e con 81,5 milioni di abitanti, capitale Kinshasa – è ricco di risorse naturali. In particolare lo è l’est del Paese, in cui una miriade di gruppi armati ribelli si contende il controllo di pietre preziose e minerali custoditi nel sottosuolo. Ed è in questa zona che è rimasto ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio.

Oggetto delle attenzioni dei gruppi armati anche il Parco nazionale di Virunga, nella provincia del Nord Kivu in cui è avvenuto l’attacco. Patrimonio Unesco rifugio dei gorilla, Virunga viene sorvegliato da 689 ranger di cui almeno 200 sono stati uccisi in scontri a fuoco (alla storia parco, intrecciata ai gruppi armati attivi nella zona, è dedicato il documentario ‘Virunga’ del 2014).

Dopo avere vissuto uno regni coloniali più brutali sotto il Belgio, la Repubblica Democratica del Congo è stata retta dalla dittatura di Mobutu Sese Seko (che cambiò il nome del Paese in Zaire, denominazione che rimase fino al 1997). Per molti anni teatro di una brutale guerra civile che ha attirato anche diversi Paesi vicini, il Paese con la fine del conflitto nel 2003 non ha visto anche la fine delle violenze, perpetuate dalle decine di milizie e gruppi armati attivi nell’est. La loro presenza ha reso necessaria una forza militare dell’Onu per provare a mantenere l’ordine. Talvolta, negli anni, i gruppi armati hanno invaso la capitale regionale dell’est, Goma. La missione di peacekeeping dell’Onu, nota con l’acronimo Monusco, lavora per ridurre la sua presenza di 15mila soldati e trasferire i suoi compiti di sicurezza alle autorità locali.

Da oltre 15 anni – sottolinea il Centro studi internazionali – il North Kivu è uno degli epicentri dell’instabilità nazionale congolese, nonché il luogo dove si è manifestata con maggiore intensità sia la Seconda Guerra del Congo (1998-2003) che i conflitti irrisolti da essa derivata, come la guerra del Kivu (2004 – 2007), l’insurrezione del Movimento 23 Marzo (2012-2013) e dell’Alleanza delle Forze Democratiche (AFD, 2017-2021). In un contesto come quello dell’est del Paese, prosegue il Centro studi internazionali, “gli attacchi delle milizie etniche contro le Forze Armate congolesi ed il personale sia civile che militare delle Nazioni Unite hanno un significato politico ed economico, teso a ribadire la propria presenza sul territorio allo scopo di proseguire il controllo dei traffici illeciti”.

Proprio per la zona orientale del Paese, meno di una settimana fa l’Unhcr aveva espresso la propria preoccupazione per le atrocità commesse da gruppi armati. Atrocità, sottolineava l’agenzia Onu per i rifugiati, “divenute parte di una strategia volta sistematicamente a turbare la vita dei civili, instillare paure e generare caos”. Nel 2020 nelle tre province orientali – cioè Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu – è stato registrato un numero record di 2mila civili uccisi. Nel 2021 omicidi e rapimenti hanno continuato a verificarsi nel Nord Kivu, dove gli attacchi sono stati condotti anche ai danni di civili sfollati. Per l’Unicef, ci sono 5,2 milioni di sfollati nella Repubblica Democratica del Congo, più sfollati che in qualunque altro Paese eccetto la Siria.

A gennaio del 2019 è avvenuta nel Paese la prima transizione di potere democratica e pacifica dall’indipendenza del 1960, a seguito dell’elezione del presidente Felix Tshisekedi. È succeduto all’uomo forte Joseph Kabila (che era rimasto alla presidenza dal 2001 al 2019) in elezioni contese, caratterizzate da accuse di brogli su larga scala e dai sospetti di un accordo dietro le quinte da parte di Kabila per far prevalere Tshisekedi su un candidato d’opposizione che, secondo alcuni dati elettorali fatti filtrare, sarebbe stato il vero vincitore.

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