dal nostro inviato Fabio De Ponte

La Valletta (Malta), 12 nov. (LaPresse) – “Salvare Schengen è una corsa contro il tempo” e “per vincere questa gara bisogna anche difendere i nostri confini esterni. Senza la difesa dei confini esterni dell’Ue, Schengen non sopravviverà”. E’ tutto in queste poche frasi pronunciate dal presidente del Consiglio Ue Donald Tusk il senso per l’Europa del summit con i Paesi africani che si è concluso oggi a Malta. Un drammatico senso di urgenza che si è tradotto nel tentativo di convincere i Paesi africani a collaborare di più ai rimpatri e a scoraggiare le partenze dei migranti.

Per essere più convincente, l’Ue ha messo sul piatto quasi due miliardi di euro in aiuti (1,8 miliardi finanziati dalla Commissione, più i contributi dei singoli Paesi). Nessuna apertura su possibili canali legali di ingresso è apparsa nel piano di azione sottoscritto al termine del summit, salvo l’aumento delle borse di studio per studenti e ricercatori. Insomma il messaggio che è partito dall’Europa verso l’Africa ha avuto il sapore di un appello a tenersi i migranti e a non farli arrivare al di qua del Mediterraneo.

“MULTINAZIONALI PORTANO VIA 60 MILIARDI L’ANNO AL FISCO”. Un appello accolto non benissimo dall’altra sponda: a fronte dei quasi due miliardi di euro messi in campo con il fondo di emergenza per l’Africa, ha risposto il presidente della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, il premier senegalese Macky Sall, le multinazionali portano via dal continente 60 miliardi all’anno in evasione fiscale. “Abbiamo risorse sufficienti in Africa – ha sottolineato – potremmo fare con le nostre forze. Ma ci sono 60 miliardi all’anno che potrebbero tornare indietro in Africa dall’evasione fiscale”.

“SERVONO PAGAMENTI EQUI”. Non solo ma, ha aggiunto, per affrontare la questione della povertà in Africa non basta l’elemosina: “Fino a che – ha detto – non avremo un pagamento equo, non solo delle nostre risorse naturali ma anche della lavorazione dei nostri prodotti, che hanno un grande valore aggiunto, continueremo ad essere dipendenti. Dobbiamo fermare sul nostro continente il valore aggiunto prodotto che crea occupazione e non esportarlo. E’ il tema che abbiamo sollevato all’Onu, al G7, al G20 e lo abbiamo fatto anche qui a Malta”.

“NO AI CAMPI IN AFRICA”. Nel corso del summit poi i Paesi africani hanno messo anche in chiaro che non hanno alcuna intenzione di aprire campi di smistamento: “La Commissione dell’Unione africana – ha detto la sua presidente, Nkosazana Dlamini-Zuma – non può sostenere o appoggiare la costituzione di questi centri in Africa”. Non solo, ma “l’Unione africana – ha aggiunto – esprime preoccupazione per la militarizzazione dello spazio africano e la crescente attitudine a risolvere i problemi anche migratori per via militare”.

MOGHERINI: “BASI PER UNA COOPERAZIONE REALE”. Si dice tuttavia soddisfatta, lasciando il summit, l’Alta rappresentante Ue Federica Mogherini: “Abbiamo messo le basi – è la sua analisi – per una cooperazione reale, ma anche per l’accoglienza nella stessa Africa dei rifugiati. Un incontro preparato bene, in sei mesi, di una valenza quasi storica, importante anche per l’Italia. La prossima settimana sarò in Ciad per un primo seguito operativo con tutti i Paesi del Sahel”.

RENZI: “SEI MESI FA NON NE PARLAVA NESSUNO, ORA L’UE SI FA CARICO DEL PROBLEMA”. Guarda positivo il premier italiano Matteo Renzi: “Io vedo – spiega – un bicchiere molto più che mezzo pieno. Sei mesi fa della questione Europa-Africa non parlava nessuno. Abbiamo insistito che si potesse fare questo vertice. Al centro non c’è solo la questione dell’immigrazione, ma quello della relazione con l’Africa. Perciò noi come Italia abbiamo in campo una strategia complessiva sul tema, che ci ha portato a fare in Tunisia la prima visita di Stato del nostro Governo, a fare più viaggi in Africa e più accordi bilaterali. Ora l’Europa prende su di sé, con un esborso significativo, il tema, e questo è un fatto positivo”.

EUROPA SPEZZATA. L’Europa però, che si è ritrovata intorno a un tavolo più ristretto nel pomeriggio – subito dopo il vertice Ue-Africa – per fare il punto, esce da questo summit spezzata. Se la Svezia ha reintrodotto i controlli alle frontiere, con il primo ministro, Stefan Lofven, che rivendica la scelta spiegando che “non è un muro, ma dobbiamo assicurarci di avere il controllo di chi entra nel nostro territorio”, a rinfocolare le polemiche ci ha pensato anche il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, descrivendo l’arrivo di migranti come una slavina, riaccendendo così i fari sul dietrofront del governo tedesco, che ha deciso di tornare ad applicare il regolamento di Dublino sui rifugiati rispedendoli al Paese di primo approdo.

LA BARRIERA IN SLOVENIA. Intanto la Slovenia ha eretto nuove recinzioni di filo spinato al confine con la Croazia, con una decisione benedetta oggi dalla Commissione Ue, sull’altare della difesa dei confini esterni invocata da Tusk per salvare Schengen: “Riguardo all’intenzione della Slovenia di erigere barriere tecniche al confine con la Croazia, riteniamo che la frontiera sia esterna e che gli Stati membri abbiano la responsabilità di gestire la loro porzione”, ha detto la portavoce del commissario europeo per la Migrazione, l’interno e la cittadinanza, Tove Ernst.

JUNCKER: “RICOLLOCAMENTI FERMI, A QUESTO RITMO FINIAMO NEL 2101”. Una situazione nella quale i Paesi si rinfacciano reciprocamente le responsabilità e nel quale i ricollocamenti interni, pur concordati nel corso di diversi summit straordinari, sono di fatto completamente fermi: “Non sono soddisfatto per niente – ha sottolineato il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker – con i ricollocamenti. Hanno riguardato finora solo 130 persone, contro le 160mila previste. Nessuno in questo meeting ha messo in discussione il fatto che vadano fatte né la cifra di 160mila. Ma se si va avanti così – ha concluso – si finisce nel 2101”.

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