Dal nostro inviato Fabio De Ponte

Bruxelles (Belgio), 16 ott. (LaPresse) – Un accordo di massima sul fatto che la Turchia debba farsi carico dei rifugiati siriani impedendo loro di entrare in Europa, in cambio di aiuti e soprattutto dell’avvio concreto del processo di adesione all’Ue. Ma Senza definire quanti rifugiati e come debbano essere trattenuti, né quante risorse destinare agli aiuti o quali capitoli negoziali aprire per l’adesione. E’ una intesa ancora piuttosto fumosa quella raggiunta in nottata a Bruxelles, nel corso del vertice Ue chiamato a valutare la proposta messa in campo dalla Commissione.

Un “endorsement politico”, lo definiscono fonti diplomatiche, piuttosto che un accordo. Grazie al quale, nel documento delle conclusioni del meeting, il Consiglio Ue si dice “pronta a incrementare la cooperazione con la Turchia e a rafforzare sostanzialmente il suo impegno politico e finanziario” nei confronti di Ankara.

Non solo, ma Bruxelles “accoglie il piano di azione della Turchia come parte di una agenda di cooperazione complessiva basata sulla responsabilità condivista, e su mutui impegni”, la cui “implementazione contribuirà ad accelerare la prosecuzione della roadmap per la liberalizzazione dei visti”.

“Stiamo costruendo – ha spiegato il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk – un chiaro collegamento tra la questione dei rifugiati e il sistema dei visti”. Anche per parlare di questo, la cancelliera tedesca Angela Merkel sarà domenica in visita in Turchia.

Ma i leader europei, su pressione principalmente dalla Francia, hanno concordato anche il rafforzamento di Frontex: l’Ue è pronta a “rafforzare la protezione dei confini esterni – si legge nel testo – attraverso la graduale affermazione di un sistema integrato” e ad “allargare il mandato di Frontex perché includa il diritto a organizzare operazioni di rimpatrio di sua propria iniziativa, e a rafforzare il suo ruolo nell’acquisizione di documenti di viaggio a questo scopo”.

Non è stata accettata invece la posizione tedesca-svedese, che chiedeva di inserire un passaggio sull’importanza di un meccanismo obbligatorio di ricollocazione dei migranti. Mentre è passata una ammonizione generale, che fa fischiare le orecchie all’Italia: l’Unione europea “preme – si legge – perché siano approntati ulteriori hotspot nei tempi concordati per assicurare l’identificazione, la registrazione delle impronte digitali e l’accoglienza di chi fa richiesta per l’asilo, e allo stesso tempo assicurare ricollocazioni e rimpatri”.

Il vertice, comunque, ha consentito al premier Matteo Renzi di rivendicare il successo della posizione italiana: “Questo Consiglio europeo – ha detto – ha dimostrato che l’italia è la più coerente. Dal primo giorno abbiamo detto che serviva un approccio globale e complessivo al tema dei rifugiati e del Mediterraneo. Oggi si sancisce il punto che avevamo detto. Sulla politica dell’immigrazione l’approccio italiano è quello giusto”.

Non così la pensa Tusk, che il 6 ottobre, parlando al Parlamento Ue, e richiamando alle proprie responsabilità tutti i Paesi, ha accomunato Italia e Ungheria. Parole che Renzi ha contestato duramente nel corso del vertice. “Credo che le frasi – ha detto – che il presidente Tusk ha usato nel suo intervento al Parlamento europeo il 6 ottobre non fossero le frasi più idonee verso il popolo italiano, che in questi mesi ha fatto un lavoro straordinario. Quando qualcuno tocca gli italiani – ha concluso – il presidente del Consiglio risponde e difende con orgoglio un popolo che sta dando lezioni a tanti”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata