La Cpi ha definito "grave" la mancata collaborazione del Paese asiatico

La Camera preliminare II della Corte penale internazionale (CPI) con sede all’Aia ha ritenuto che la Mongolia, non avendo arrestato il presidente russo Vladimir Putin mentre si trovava sul suo territorio, non ha ottemperato alla richiesta della Corte di cooperare in tal senso, in contrasto con le disposizioni dello Statuto di Roma, impedendo così alla Corte di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri. È quanto fa sapere la stessa Cpi in una nota.

“Grave la mancata cooperazione”

Per la “gravità della mancata cooperazione della Mongolia con la Corte, la Camera ha ritenuto necessario deferire la questione all’Assemblea degli Stati membri”, si legge nella nota, che ricorda come i Paesi aderenti alla Corte abbiano “il dovere di arrestare e consegnare gli individui soggetti a mandati della Cpi, indipendentemente dalla posizione ufficiale o dalla nazionalità”.

Le accuse contro Putin

Putin è ricercato dalla Corte per la sua presunta responsabilità personale nel crimine di guerra di deportazione illegale di bambini e trasferimento illegale di minori dalle aree occupate dell’Ucraina alla Russia. Non è chiaro cosa farà ora l’Assemblea.
Invece di arrestare Putin, le autorità della Mongolia hanno steso il tappeto rosso, durante la sua visita il mese scorso. Il leader russo è stato accolto nella piazza principale della capitale, Ulan Bator, da una guardia d’onore vestita con vivaci uniformi rosse e blu, ispirate a quelle della guardia personale del sovrano del XIII secolo Gengis Khan, il fondatore dell’Impero mongolo.

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