dal nostro inviato Fabio De Ponte

Bruxelles (Belgio), 16 ott. (LaPresse) – Mentre i leader europei sono riuniti a Bruxelles a discutere di immigrazione, concentrandosi su un’ipotesi d’intesa su 3 miliardi di aiuti alla Turchia perché si faccia carico dei rifugiati siriani ed eviti che arrivino in Europa, arriva la notizia di un migrante afghano ucciso dalla polizia di frontiera bulgara al confine con la Turchia. E’ sera tardi. Il primo ministro bulgaro Boiko Borisov lascia il vertice e rientra a Sofia.

UNHCR: “RIFUGIATI NON SI ACCOLGONO CON PALLOTTOLE” – A fine giornata restano ancora oscuri i dettagli dell’episodio, essendo la ricostruzione ufficiale della polizia quella di un colpo di avvertimento che avrebbe raggiunto “di rimbalzo” il migrante. Il quale, prosegue la rassicurante versione fornita dal ministero dell’Interno bulgaro, subito soccorso, sarebbe morto nella corsa verso l’ospedale.

Ora l’Unhcr chiede una “indagine trasparente” sottolineando a LaPresse, per bocca del portavoce per l’Europa centrale dell’organizzazione, Babar Baloch, che “se sei un richiedente asilo e arrivi al confine non devi incontrare delle pallottole”.

ENDORSEMENT POLITICO – Alla fine il Vertice si conclude con un “endorsement politico” dell’intesa Ue-Turchia, ma senza la vera chiusura di un accordo. Endorsement grazie al quale, nel documento delle conclusioni del meeting, il Consiglio europeo si dice “pronto a incrementare la cooperazione con la Turchia e a rafforzare sostanzialmente il suo impegno politico e finanziario” nei confronti di Ankara.

Non solo, ma concede una accelerazione del percorso di liberalizzazione dei visti e soprattutto promette di rivitalizzare il processo di adesione all’Ue, un sogno che Ankara insegue da decenni. Il che, a quindici giorni dalle elezioni turche, consegnerebbe al presidente Recep Tayyip Erdogan una carta piuttosto importante da spendere in campagna elettorale.

ERDOGAN: “DALL’UE POCA CHIAREZZA” – Non a caso lui commenta duramente il risultato incompiuto della nottata di vertice. “A Bruxelles – dice a margine di una conferenza a Istanbul – hanno capito che non si può gestire la situazione senza la Turchia. Ma se è così, perché non ci fanno entrare nell’Ue? Non sono chiari. Dicono ‘Abbiamo già fatto un errore con la Nato, non ripetiamolo con l’Ue'”. E il portavoce del suo partito, l’Akp, Omer Celik, è ancora più esplicito: la questione dei rifugiati, dice, e quella dell’adesione all’Ue vanno tenute distinti, perché l’ingresso dell’Ue non deve diventare “un problema di corruzione politica”, insomma di scambio migranti-adesione.

TENSIONI DENTRO L’UE. Le tensioni però sono anche dentro l’Unione stessa. Germania e Svezia al vertice hanno fatto una sortita a sorpresa, chiedendo di inserire nel documento finale un passaggio sulla necessità di un sistema permanente di ricollocazione obbligatoria dei rifugiati. Operazione finita però male.

Meglio è andata alla Francia, che chiedeva qualcosa di molto più digeribile per i leader e le rispettive opinioni pubbliche: il rafforzamento di Frontex. I ventotto hanno messo nero su bianco l’intenzione di allargarne il mandato, consentendo che compia operazioni di rimpatrio e che disponga dei poteri per acquisire tutti i documenti necessari a farlo. Ma dentro il testo è finito anche un richiamo ai Paesi che devono approntare gli hotspot: dovranno farlo, c’è scritto, “nei tempi previsti”. Sono fischiate le orecchie a Italia e Grecia.



RENZI CONTRO TUSK – E così il premier italiano Matteo Renzi ha avuto uno diverbio col presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che il 6 ottobre scorso in un discorso al Parlamento di Strasburgo aveva accomunato l’Italia e l’Ungheria sulla gestione dei migranti. “Quando qualcuno tocca gli italiani – ha spiegato il capo del Governo, lasciando il vertice – il presidente del Consiglio risponde e difende con orgoglio un popolo che sta dando lezioni a tanti”.

L’INIZIATIVA TEDESCA – Insomma la situazione appare quella del tutti contro tutti. Ad avere in testa la strategia più chiara, come al solito, sembra essere la cancelliera Angela Merkel. Che da una parte spinge per un sistema interno ordinato di gestione dell’accoglienza e dall’altro tenta di allentare la pressione sul continente cercando di arruolare la Turchia, contando anche sui suoi legami un po’ più stretti, visto che proprio in Germania è ospitata la maggiore comunità turca d’Europa. Perciò domenica la Merkel sarà in Turchia, mettendosi come ormai fa sempre più spesso in prima linea.

LA PARTITA DI ERDOGAN – Ma anche Erdogan gioca una sua partita. Le elezioni rappresentano per lui l’occasione di prendersi una rivincita sui curdi, che al voto di giugno raccolsero uno storico successo. E cerca di isolarli anche sul piano internazionale.

Così, da una parte la guerra allo Stato islamico gli consente di raccogliere l’appoggio americano anche sulla lotta al Pkk (il cessate il fuoco saltò a luglio, proprio dopo le elezioni, e forse, dicono alcuni commentatori, proprio a causa dei risultati): il presidente Barack Obama, proprio oggi, al telefono con lui, concorda con la necessità di fermarne la violenza. E, dall’altra parte Erdogan gioca la carta dei rifugiati: garantire all’Ue un allentamento della pressione migratoria potrebbe spingere i leader a chiudere un occhio sulla vicenda curda e a cedere infine anche sulla adesione. E infatti insiste per ottenere lo status di ‘Paese sicuro’, il che impedirebbe ai curdi di ottenere asilo in Ue.

IL RISCHIO LIBIA – Il problema è che, come già avveniva con la Libia di Gheddafi, una intesa con un Paese in cui il rispetto dei diritti umani è quantomeno incerto potrebbe allontanare il problema dei rifugiati dalle telecamere ma non cancellarlo. I centri detentivi in Libia per i migranti in arrivo dal Sudan che sono passati alla storia per le loro condizioni brutali erano in effetti il risultato degli accordi con l’Italia.

Con la Turchia si rischia ora di fare il bis su scala continentale. Prudente l’Unhcr: “Bisogna vedere – dice Baloch – come l’accordo sarà messo in pratica, ma una delle ragioni per cui le persone non si fermano nei Paesi confinanti alla Siria è che non trovano sostegno. Noi abbiamo tagliato gli aiuti a questi Paesi per troppo a lungo. Sostenere i paesi confinanti è molto positivo. Questo poi non cancella – sottolinea – i nostri obblighi dettati dal diritto internazionale”.

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