di Chiara Battaglia

Tunisi (Tunisia), 9 ott. (LaPresse) – Il 17 dicembre 2010 il venditore ambulante 26enne Mohamed Bouazizi si dà fuoco a Sidi Bou Zid, nel centro della Tunisia, dopo avere subìto dei soprusi da parte della polizia. Il suo gesto, al di là dei motivi specifici per i quali viene compiuto, nell’interpretazione che ne viene data incarna sia la rabbia per le ingiustizie di un sistema corrotto e clientelare, sia lo scontento per una situazione economica non più rosea. Parte così in Tunisia la rivolta contro il regime di Zine el-Abidine Ben Ali, che fugge in Arabia Saudita il 14 gennaio del 2011 dopo 23 anni al potere. Una delle piazze centrali di Tunisi viene ribattezzata da piazza 7 novembre, data in cui Ben Ali era salito al potere succedendo a Habib Bourguiba, a piazza 14 gennaio, giorno appunto della fine del regime.

Il primo ministro Mohamed Ghannouchi annuncia un governo ad interim di unità nazionale, ma resta in carica solo fino al 27 febbraio perché i manifestanti lo considerano troppo compromesso con il regime e costringono anche lui a lasciare il potere. Come premier ad interim viene scelto allora Béji Caid Essebsi (eletto presidente l’anno scorso con il partito Nidaa Tounes), il quale guida il Paese fino alle prime elezioni libere, che si tengono il 23 ottobre 2011.

Alle urne vince il partito islamista Ennahda, che va al governo in coalizione con il Congresso per la repubblica (Cpr) e con Ettakatol. L’Assemblea costituente che viene eletta ha il compito di redigere la Costituzione ed elegge a presidente Moncef Marzouki (che ha sfidato Essebsi l’anno scorso nelle elezioni presidenziali, perdendo). Ennahda si presenta come partito moderato e promette tolleranza, ma questa definizione suscita perplessità in molti. A ottobre 2012, per esempio, fa scalpore la videointercettazione del leader del partito, Rashid Ghannouchi (da non confondere con l’ex premier Mohamed Ghannouchi), sopreso a rassicurare i salafiti che si lamentavano dell’eccessiva moderazione di Ennahda: nel nastro rubato Ghannouchi presenta il laicismo come una fase che verrà superata quando i tempi matureranno e invita i salafiti a fondare media e associazioni per diffondere l’islam.

Il 2013 è un anno particolarmente difficil, è l’anno di due omicidi politici, che sembrano far precipitare la situazione. Il 6 febbraio del 2013 viene ucciso Chokri Belaid e il 25 luglio (nel giorno della festa della Repubblica) viene assassinato Mohammed Brahmi, entrambi politici del movimento di opposizione Fronte popolare. Monta la protesta contro il governo, accusato di non essere in grado di garantire la sicurezza e, da alcuni, di essere addirittura il mandante politico delle uccisioni. Prima c’è un cambio di esecutivo, che passa dal premier Hamadi Jebali ad Ali Larayedh. Poi a ottobre 2013, a seguito dell’intervento del Quartetto nazionale che di fatto risolverà la crisi politica, Ennahda accetta di farsi da parte e lasciare spazio a un governo tecnico. L’accordo sul nuovo premier del governo tecnico viene raggiunto solo a gennaio 2014, quando alla guida dell’esecutivo viene scelto il premier Mehdi Jomaa. A lui è affidato il compito di traghettare il Paese verso le nuove elezioni, cioè quelle di fine 2014.

Il 26 ottobre 2014 è stato eletto il Parlamento e subito dopo si sono tenute le presidenziali (il 23 novembre il primo turno e il 21 dicembre il ballottaggio). Da queste tornate elettorali è risultato vincitore il partito Nidaa Tounes, che significa ‘La chiamata della Tunisia’, fondato da Essebsi a giugno 2012. Un movimento molto eterogeneo, composto da uomini d’affari, sindacalisti e anche da molti politici vicini all’ex regime di Ben Ali, ragion per cui si è attirato molte critiche. Per i suoi fondatori l’obiettivo era creare una forza laica che accogliesse più anime e fosse in grado di controbilanciare la forza di Ennahda. Ma nonostante i proclami pre-elettorali, che escludevano una coalizione di questo tipo, Nidaa Tounes è andata al governo con Ennahda, che è la seconda forza politica del Paese.

A pochi mesi dall’insediamento del nuovo esecutivo, la Tunisia ha affrontato lo shock dell’attacco terroristico al museo del Bardo, in cui sono state uccise 24 persone, fra cui 21 turisti stranieri (quattro dei quali italiani). Tre mesi dopo un altro attentato: un uomo ha aperto il fuoco sulla spiaggia di Sousse uccidendo 38 stranieri. Lo Stato islamico ha rivendicato entrambi gli attentati e le autorità ritengono che i tre aggressori si fossero addestrati in campi jihadisti in Libia. Il 4 luglio, in seguito agli attacchi, Beji Caid Essebsi ha dichiarato uno stato d’emergenza di 30 giorni, poi esteso il 3 agosto per altri 60 giorni e scaduto il 2 ottobre scorso.

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