di Ester Castano

Milano, 22 lug. (LaPresse) – Amedeo Ricucci è giornalista professionista Rai dal 1993. Ha passato un quarto di secolo documentando gli scenari di guerra vivendo nei territori dei conflitti. Il 20 marzo 1994 è in Somalia con Ilaria Alpi e Miran Hrovatin nel loro ultimo viaggio, e nel 2002 a Ramallah in Cisgiordania dove assiste all’uccisione del fotografo Raffaele Ciriello, episodio che racconta nel suo libro ‘La guerra in diretta – Iraq, Palestina, Afghanistan, Kosovo. Il volto nascosto dell’informazione televisiva’. Il 3 aprile 2013 Ricucci viene sequestrato in Siria assieme ai giornalisti Elio Colavolpe, Susan Dabbous e Andrea Vignali. Liberato dopo 11 giorni, torna a lavorare al fronte. A marzo di quest’anno conclude il suo ultimo reportage sulla Libia, dove vive fino a febbraio 2015, quando l’ambasciata italiana chiude.

Quale idea si è fatto sul sequestro dei quattro dipendenti italiani della Bonatti che stavano raggiungendo il compound Eni?

“Il rapimento è una rappresaglia in stile mafioso libico. C’è una cosa molto interessante che dal giorno del rapimento, il 20 luglio, a giornali e televisioni italiane non ha importato: il sequestro potrebbe essere un messaggio inviato all’Italia che ha un ruolo di primordine nelle trattative diplomatiche tra i due governi libici che si contendono il potere: il governo di Tripoli e il governo di Tobruk”.

In Italia l’ipotesi che va per la maggiore è quella del sequestro a scopo estorsivo. Ne ha un’altra?

“Si è tanto parlato dell’attentato in Egitto al consolato italiano dell’11 luglio scorso, scrivendo a nove colonne che si trattava di un’intimidazione. Ma non credo sia così. Credo invece che sia il rapimento in Libia dei quattro italiani ad essere la prima intimidazione rivolta all’Italia. Potrei sbagliarmi, potrebbe invece essere un sequestro a scopo estorsivo. Ma sicuramente non è un fatto disgiunto dalle trattative in corso anche in Marocco: l’accordo è in dirittura d’arrivo e c’è il sequestro, i fenomeni non possono essere slegati tra loro”.

In cosa consistono questi accordi?

“Sono accordi tra milizie tribali che bypassano Tripoli e Tobruk, i due governi che nel Paese frastagliato da fazioni e tribù si contendono il potere, accordi che tendono a riportare la pace proprio nell’area in cui è avvenuto il sequestro. A Mellitah infatti, zona delle coste della Tripolitania, negli ultimi tempi non si combatte e le milizie si sono pacificate. E non a tutti la pacificazione, voluta, sostenuta e sponsorizzata dall’Italia, piace. Da fastidio alle fazioni che si contendono il territorio”.

Da conoscitore di quei luoghi, come sta raccontando il rapimento il mondo dell’informazione?

“La stampa italiana semplifica la situazione perché ragiona in bianco e nero, mentre la realtà non lo è, tantomeno in Libia in cui si giustappongono il piano politico delle alleanze tribali e il piano politico delle alleanze internazionali. È un puzzle molto complicato, uno scenario complesso dove non è facile districarsi, a meno di non avere esperienze sul terreno. Inoltre la versione dei mass media mainstream esagera il ruolo dello Stato islamico, che invece è una realtà minoritaria: da un anno a questa parte fa notizia solo l’Isis, che per i giornalisti italiani va messo dappertutto. Ma così si falsano le forze in campo ed è molto pericoloso perchè la Libia è una realtà a noi molto vicina”.

Gli italiani sono tra i pochi occidentali che operano ancora in quei territori. Qual è la situazione dei connazionali in Libia, e cosa consiglia alle famiglie dei rapiti?

“Sono stato lì fino a poco prima che l’ambasciata italiana il 15 febbraio chiudesse e gli italiani fuggissero. Il 26 gennaio ero a Tripoli quando ci fu l’attentato, il primo ad essere rinvendicato dall’Isis, all’hotel Corinthia. E da gennaio gli italiani in Libia non ci sono più andati, non c’era più sicurezza. Non ho consigli da dare, a quello ci pensano la Farnesina e l’Unità di crisi. Posso però dire che nel 2013 durante il mio sequestro in Siria la Farnesina è stata molto presente e di aiuto alla mia famiglia, dando continuità all’operazione e tenendo al corrente i miei cari dei risvolti”.

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