Damasco (Siria), 6 apr. (LaPresse/AP) – Se non saranno le armi, forse sarà il petrolio a sconfiggere il regime siriano. I ribelli infatti stanno conquistando numerosi impianti di estrazione, sottraendo al governo la sua principale fonte di finanziamento. Le esportazioni sono scese drasticamente e il regime di Bashar Assad è stato costretto a importare carburanti raffinati per contenere i rincari. Il governo tenta di correre ai ripari e la settimana scorsa il ministro del petrolio ha incontrato rappresentanti della Cina e della Russia, per valutare la possibilità di aprire nuovi pozzi esplorativi sulle coste siriane.

Prima della guerra civile, scoppiata all’inizio del 2011, la Siria produceva 380mila barili di petrolio al giorno, i cui proventi rappresentavano circa un quarto delle entrate del regime. Secondo le stime, la produzione oggi è pari a circa la metà. Il governo non fornisce dati ufficiali. Dall’inizio dell’anno i ribelli hanno preso il controllo dei pozzi nella provincia di Deir el-Zour, uno dei principali centri di produzione petrolifera, e più recentemente hanno conquistato anche l’impianto di Jbeysa, uno dei più grandi del Paese.

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