Rio de Janeiro (Brasile), 23 mar. (LaPresse/AP) – Mentre Rio de Janeiro si prepara a ospitare i Mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016, tutti gli occhi sono puntati sullo stadio Maracanà, ma pochi hanno notato che accanto alla cattedrale del calcio brasiliano vivono circa 30 indigeni, che presto saranno obbligati ad andarsene. L’area della città brasiliana sarà ricostruita tramite un progetto da 63,2 milioni di dollari e lo stadio Maracanà, costruito per i Mondiali di calcio del 1950, sarà il luogo principale degli eventi sportivi dei prossimi anni. Proprio qui, infatti, si svolgeranno le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi olimpici e la finale dei Mondiali. Gli indigeni non fanno parte dei progetti del governo per la trasformazione del quartiere. Il gruppo che abita di fianco allo stadio è composto da uomini e donne di circa dieci etnie, la maggior parte guaranì, pataxò, kaingangue e guajajara. Hanno costruito senza permesso dieci case in un luogo dove una volta c’era il vecchio museo indiano di Rio, abbandonato nel 1977.
Carlos Tukano, leader del gruppo, spiega che lo spazio accanto al Maracanà dà ospitalità anche agli indigeni in visita a Rio, sia a quelli che arrivano in cerca di cure mediche sia per chi decide di studiare nella città, o ancora si trasferisce per creare oggetti artigianali da vendere in spiaggia ai turisti. “Quando gli indiani arrivano in città non hanno un posto dove stare né soldi e dovrebbero quindi dormire per strada”, dice Tukano, originario di un villaggio nell’Amazzonia. Arrivò qui col gruppo diversi anni fa e trovando lo spazio libero pensò di stabilirsi nell’area. Il governo non sostiene la loro permanenza, ma la storia sì. L’edificio fatiscente che ospitava il vecchio museo infatti, fu stato donato da un ricco brasiliano al governo nel 1847, a patto che diventasse un centro per lo studio delle tradizioni indigene.
Il destino del gruppo rimane però incerto e Tukano racconta di alcune voci circolate tra la comunità. Quella che adesso è la loro casa dovrebbe trasformarsi in un parcheggio, oppure in un centro commerciale o ancora in un semplice passaggio per raggiungere lo stadio Maracanà. Quello che è sicuro, però, è che gli indigeni dovranno andarsene, nonostante non abbiano ancora ricevuto una comunicazione ufficiale dal governo rispetto a quando o come dovranno lasciare la zona. “Stiamo aspettando uno sparo nel buio”, dice Tukano. “Non sappiamo quando o da dove arriverà”.
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