Niamey (Niger), 14 set. (LaPresse/AP) – “Conosco bene la Guida (Muammar Gheddafi, ndr) e quello che la gente non capisce è che può resistere nel deserto per anni. Non ha bisogno di creare un luogo nascosto. Gli piace la vita semplice, sotto una tenda, seduto sulla sabbia, a bere latte di cammello. Il suo vantaggio è che questo era già il suo stile di vita preferito”. Così parla del colonnello libico Aghaly Alambo, ex ribelle del Niger che ha combattuto per Gheddafi e ha guidato il primo convoglio di lealisti giunti in Niger dal deserto. I generali del regime arrivati nel Paese nei giorni scorsi stanno provando a tracciare la strada per altri seguaci di Gheddafi, ma Alambo dubita che lo stesso colonnello seguirà il loro esempio. “E’ protetto da una unità speciale costituita da membri della sua famiglia. Sono le uniche persone di cui si fida”, ha aggiunto Alambo.

I convogli con a bordo i lealisti hanno varcato il confine tra Libia e Niger la scorsa settimana. I tre generali (il capo dell’aeronautica di Gheddafi e due comandanti regionali) sono arrivati nella capitale Niamey nella notte di lunedì. Attorno alla mezzanotte tra ieri e oggi sono stati raggiunti dal figlio del colonnello, al-Saadi. Secondo Alambo i comandanti sono stati spinti a lasciare la Libia dopo una rottura delle comunicazioni con Gheddafi, che ha avuto contatti con i suoi leader militari fino a tre settimane fa. Non si sa ora dove si trovi. “E’ difficile perché da qualche tempo non ci sono comunicazioni in Libia, specialmente con la nostra Guida. Forse è per la sua stessa sicurezza. Per noi membri del suo entourage è molto difficile sapere dove si trovi. Come sta? Cosa sta succedendo?”, spiega ancora Alambo. “Questo – aggiunge – ha creato una sorta di destabilizzazione per il suo entourage”.

Alambo, capo tuareg vicino a Gheddafi e che sembra aver aiutato a reclutare decine di giovani del suo gruppo etnico per combattere nella guerra civile in Libia, sostiene che non ci sia più coordinamento tra le branche dell’esercito lealista. Il capo tuareg attribuisce la caduta di Tripoli, punto di svolta della guerra, alla defezione di uno dei comandanti di fiducia del colonnello, spiegando che il capo della sicurezza della capitale aveva disertato alcune settimane prima dell’arrivo delle forza di opposizione, pur continuando a guidare la difesa della città. Invece di combattere, il comandante avrebbe ordinato alle truppe del regime di ritirarsi quando i ribelli sarebbero stati in vista, quindi ha trasmesso le coordinate delle posizioni dei lealisti in modo che la Nato potesse colpirli. “Ci siamo resi conto all’ultimo minuto che non c’era più difesa”, ricorda Alambo.

Secondo il capo tuareg, ora le forze di Gheddafi stanno cercando solo di salvarsi. Inizialmente, aggiunge, i membri dello stretto circolo del colonnello hanno coperto i bastioni del regime ancora in piedi, come Bani Walid e Sabha, ma si sono diretti verso il confine quando hanno sentito notizie delle brutali uccisioni da parte dei ribelli e quando è diventato chiaro che Gheddafi potrebbe nascondersi per anni. La moglie del colonnello, la figlia e due figli si sono rifugiati in Algeria. Le strade verso Tunisia, Egitto, Ciad e Sudan sono troppo rischiose perché alcune parti sono controllate dalle forze del Cnt. L’unica uscita dal Paese è dunque il Niger, attraverso un oceano di dune, possibile grazie alla guida di figure come Alambo. I tuareg, comunità nomade che vive tra Niger, Mali, Libia, Algeria e Ciad, sono tra i più strenui fedeli di Gheddafi e stanno spingendo affinché il governo del Niger garantisca asilo ai membri del regime.

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