E' la conclusione a cui sono arrivati i primi test. Ce ne saranno altri, ma sembra molto improbabile che escano esiti diversi. Resta la pista dell'avvelenamento da metalli pesanti per la modella testimone del Ruby ter

Non ci sono tracce di radioattività negli organi interni di Imane Fadil, la modella marocchina teste dei processi del Rubygate morta in circostanze misteriose il 1 marzo alla clinica Humanitas di Rozzano. È quanto hanno stabilito i primi test eseguiti durante tutta la giornata di giovedì sui campioni prelevati con le biopsie di reni e fegato della 34enne.

Restano da analizzare, a quanto riferiscono fonti vicine alle indagini, i liquidi corporei. Gli esiti, tuttavia, portano a pensare che Imane non sia stata esposta a sostanze radioattive. La Procura però non esclude che la modella sia stata avvelenata con metalli pesanti – nel suo sangue c'erano tracce di cadmio, cromo, antimonio, cobalto e molibdeno molto superiori alla media – o che sia morta per una rara malattia autoimmune. Ancora da capire se saranno chiesti ulteriori accertamenti.

I vetrini con i campioni di tessuto di reni e fegato della Fadil verranno analizzati dai tecnici dell'Enea a Roma per escludere definitivamente l'ipotesi della radioattività. L'autopsia a questo punto slitterà con ogni probabilità a sabato. Sul corpo della ragazza verranno effettuati ulteriori test per stabilire se sia stata avvelenata con una serie di metalli pesanti. Nel sangue della modella 34enne c'erano tracce di cadmio, antimonio, molibdeno, cromo e cobalto superiori alla norma anche se non in dosi letali, valori che potrebbero essere stati diluiti dalle numerose trasfusioni a cui la modella è stata sottoposta nel suo periodo di degenza all'Humanitas. Negli organi interni, però, ci potrebbero essere tracce più consistenti. Al vaglio della Procura anche la morte naturale per una rara malattia autoimmune.

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