Secondo il procuratore aggiunto Ielo e il pm Palazzi, il militare avrebbe alterato un'informativa sulla quale si basavano buona parte delle accuse a Tiziano Renzi
"Il fatto storico c'è ma riteniamo che non ci sia dolo, quindi nessun profilo penale". Così Giovanni Annunziata, legale di Gianpaolo Scafarto, lasciando gli uffici di piazzale Clodio dopo l'interrogatorio, durato quattro ore, del suo assistito, indagato per falso nell'ambito dell'inchiesta Consip.
"Abbiamo ricostruito attività e metodi dell'attività di indagine", ha aggiunto, spiegando che il capitano del Noe ha ricostruito come sono stati raccolti intercettazioni, telefonate e altri dati nei mesi dell'inchiesta.
All'interrogatorio erano presenti il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi. Il legale, nel sottolineare che l'atteggiamento del suo assistito in questo momento è "concentrato", ha detto che presenterà una memoria ai magistrati competenti. Secondo il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi, il militare avrebbe alterato un'informativa sulla quale si basavano buona parte delle accuse a Tiziano Renzi contenute nel fascicolo che lo vede indagato per traffico di influenze.
Al centro dell'indagine, che ha portato tra l'altro all'arresto di Alfredo Romeo lo scorso 1 marzo, c'è la gara FM4, di 'facility management', ovvero servizi per la pa, del valore di 2,7 miliardi, bandita dalla centrale acquisti della pubblica amministrazione nel 2014 e suddivisa in 18 lotti, alcuni dei quali puntava ad aggiudicarsi Romeo. L'imprenditore prese parte alla gara per il lotto da 143 milioni di euro per l'affidamento di servizi in una serie di palazzi istituzionali a Roma, che andavano dalla pulizia alla manutenzione degli uffici.
Per raggiungere il risultato, Romeo, secondo quanto detto da Marco Gasparri ai pm, avrebbe corrotto il dirigente Consip con 100mila euro in tre anni, affinché gli desse una serie di informazioni indispensabili per avere la meglio sugli altri partecipanti. Entrambi rispondono dall'accusa di corruzione.
Un sistema quello di Romeo nel quale, secondo la ricostruzione di Gasparri ai pm, l'imprenditore riteneva indispensabile pagare, poiché, a suo dire, tutti lo facevano.
Nell'indagine risultano indagati, per rivelazione di segreto d'ufficio il ministro dello Sport, Luca Lotti (all'epoca dei fatti sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri), il comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette e il generale di brigata dell'Arma Emanuele Saltalamacchia. Rispondono di traffico di influenze oltre al padre dell'ex premier Tiziano Renzi, il suo amico imprenditore Carlo Russo, e l'ex parlamentare e consulente di Romeo, Italo Bocchino.
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