Roma, 23 dic. (LaPresse) – C’è un possibile movente del “violentissimo pestaggio” subito da Stefano Cucchi nelle carte dell’inchiesta bis che ha portato all’accusa contro tre carabinieri per le lesioni e altri due per falsa testimonianza. Lo rivela oggi il Corriere della Sera. Ai militari-investigatori che cercavano informazioni sulla droga venduta, il trentunenne morto dopo una settimana di reclusione oppose un silenzio che potrebbe essere la causa delle percosse. Lo ha rivelato un nuovo testimone, ascoltato per la prima volta dalla Procura di Roma nel novembre 2014: Luigi L. ha 46 anni, è un ex detenuto che incontrò il geometra nel centro clinico di Regina Coeli all’indomani dell’arresto.
A confidargli la ragione delle botte, dice, fu proprio Stefano. “Quando mi disse di essere già comparso davanti a un giudice, – racconta il confidente sulle colonne del Corriere della Sera- io gli chiesi la ragione per la quale non avesse denunciato in aula quanto accaduto, ma lui rispose che non l’aveva fatto perché dopo l’udienza sarebbe stato preso in carico nuovamente dai carabinieri che lo avevano arrestato, i quali, se avesse denunciato, lo avrebbero picchiato di nuovo. Chiesi a Cucchi quale fosse stata la ragione di un pestaggio così violento e lui rispose: ‘Perché, non lo sai? E che dovevo fare, tu l’avresti fatto?’. A quel punto compresi cosa intendeva dire e gli chiesi se gli avessero proposto di fare la fonte confidenziale (la spia) e lui aveva rifiutato; il Cucchi mi fece intendere che le cose erano andate così e rispose: ‘Più o meno è andata come dici tu'”.
A quel punto gli feci i complimenti e gli dissi: “Per me sei stato un grande”. Aggiunge il testimone che quando gli chiese di mostrargli i segni del pestaggio, Stefano “si tolse la maglietta; restai impressionato, sembrava una melanzana. In particolare faceva impressione la colonna vertebrale, che era di tanti colori (giallo, rosso, verde); aveva ecchimosi dappertutto“.
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