Palermo, 20 nov. (LaPresse) – I carabinieri del gruppo di Monreale, con il supporto dell’unità cinofila, hanno condotto all’alba una operazione antimafia tra i comuni siciliani di Corleone, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina. Operazione che avrebbero azzerato il mandamento mafioso di Corleone. Le attività di indagine, secondo quanto hanno riferito i carabinieri, avrebbero scongiurato un omicidio già pianificato ai danni del ministro dell’Interno Angelino Alfano.

ATTENTATO. I carabinieri hanno confermato che erra Angelino Alfano l’obiettivo della mafia. Nell’indagine dell’Arma sul mandamento di Corleone, che ha portato stamattina a 6 arresti, sono emerse delle intercettazioni in cui gli affiliati pensavano di colpire il ministro dell’Interno, responsabile dell’inasprimento del 41bis, sostenendo che “dovrebbe fare la fine di Kennedy”.

INDAGINI. I carabinieri hanno eseguito 6 fermi di indiziato di delitto nei confronti di altrettanti boss e gregari, indagati per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento, illecita detenzione di armi da fuoco.
I provvedimenti scaturiscono da un’attività investigativa sviluppata in prosecuzione delle indagini denominate Grande Passo e Grande Passo 2, che tra il settembre 2014 ed il gennaio del 2015, avevano colpito gli esponenti delle famiglie mafiose di Corleone e Palazzo Adriano.

Le indagini hanno permesso di individuare il capo mandamento in Rosario Lo Bue, fratello di Calogero già condannato per il favoreggiamento di Bernardo Provenzano, nonché di ricostruire l’assetto del mandamento mafioso di Corleone, uno dei più estesi, ed in particolare delle famiglie mafiose operanti sul territorio dell’Alto Belice dei Comuni di Chiusa Sclafani e Contessa Entellina.

LA FIGURA DI LO BUE. Nel corso delle indagini è stata documentata la caratura della figura di Lo Bue, capo assolutamente carismatico e fautore di una linea d’azione prudente, continuando così nella linea di comando lasciatagli da Bernardo Provenzano. Proprio questo suo modo di condurre le attività del mandamento ha creato non poche fibrillazioni in seno alla famiglia mafiosa di Corleone. In particolare, Antonino Di Marco, arrestato a settembre 2014, da sempre ritenuto vicino alle posizioni tenute dall’altro storico boss corleonese Salvatore Riina, in più occasioni aveva modo di lamentarsi del modo con il quale Rosario Lo Bue gestisse gli affari dell’organizzazione. Le attività hanno, dunque, ribadito che ancora oggi sussistono nella consorteria criminale due anime contrapposte, l’una moderata storicamente patrocinata da Bernardo Provenzano e l’altra più oltranzista fedele a Salvatore Riina.

SOSTEGNO AI DETENUTI. Inoltre è stata nuovamente appurata la costante e rigida applicazione di una fondamentale ed inderogabile regola di cosa nostra, quella di garantire il sostentamento economico ai familiari degli affiliati detenuti, tra cui, in particolare, il capo indiscusso Salvatore Riina. Nel corso delle indagini è stato anche ricostruito il progetto omicidiario in danno di una vittima ancora non identificata, documentando chiaramente la disponibilità di un piccolo arsenale di armi nascoste in una località in via di individuazione. Tenuto conto dei progetti omicidiari e della pericolosità sociale dimostrata dagli appartenenti a cosa nostra – che ha continuato a mantenere saldamente il controllo del territorio con una costante pressione sul tessuto sociale ed economico, attraverso i classici metodi intimidatori del danneggiamento di mezzi d’opera e degli incendi – la Dda di Palermo ha ritenuto necessario procedere ai fermi del potenziale gruppo di fuoco e dei vertici dell’organizzazione, al fine di evitare la commissione di reati più gravi.

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