Di Benedetta Della Rovere
Milano, 3 lug. (LaPresse) – La scomparsa e la tragica fine di Yara Gambirasio è stata una delle vicende che hanno tenuto con il fiato sospeso per mesi tutta l’Italia. La 13enne nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010 è uscita dalla palestra di Brembate di Sopra, centro di 8mila abitanti in provincia di Bergamo, dopo un normale allenamento di ginnastica ritmica. Doveva percorrere qualche centinaio di metri per arrivare a casa, ma di lei da quel momento si sono perse le tracce. Unico indizio, il fatto che il suo cellulare, dopo la scomparsa, abbia agganciato per qualche secondo la cella di Mapello, paese poco distante da Brembate.
Il corpo di Yara verrà ritrovato solo tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo di Chignolo d’Isola (Bergamo), poco lontano dall’ingresso della discoteca ‘Sabbie Evolution’. Nessuno dei frequentatori del locale e delle molte persone che lì vanno a correre, in quel periodo, si era accorto di nulla.
L’autopsia rivelerà segni inferti da colpi di spranga e ferite da arma da taglio, oltre ad una profonda ferita alla testa. Secondo gli esperti, però, nessuna lacerazione è risultata fatale alla ragazzina, che sarebbe morta di freddo e di stenti. Sui suoi leggings, inoltre, i carabinieri del Ris sono riusciti ad isolare una traccia biologica, dalla quale hanno ricavato il dna di “Ignoto 1”, l’uomo che avrebbe infierito su Yara senza però abusare di lei.
Le indagini in un primo momento si erano concentrate proprio sul cantiere di un centro commerciale in costruzione a Mapello e sul muratore di origine marocchina Mohamed Fikri, arrestato a causa di una traduzione errata di una sua telefonata intercettata dagli investigatori, e poi scarcerato. Poi prendono tutt’altra direzione. Gli investigatori decidono di confrontare il dna di “Ignoto 1” con ben 18mila campioni genetici prelavati agli abitanti della zona. Proprio questa ricerca ha permesso di rintracciare prima Giuseppe Guerinoni, autista di autobus di Gorno deceduto nel 1999, e di capire che il presunto killer era suo figlio. La certezza che si trattasse proprio di Bossetti, però, per inquirenti e investigatori è arrivata solo il 15 giugno 2014, quando il carpentiere, fermato durante un controllo stradale, è stato chiesto sottoporsi all’etilometro. Il giorno successivo è stato arrestato nel cantiere in cui lavorava e solo nella caserma dei carabinieri ha scoperto di non essere figlio dell’uomo che da sempre riteneva essere suo padre, ma di Guerinoni con cui la madre Esther da giovane aveva avuto una relazione. Da allora hanno subito un’ulteriore accelerazione.
L’anno che Bossetti ha trascorso in cella è stato impiegato per scandagliare i suoi movimenti, le sue abitudini, verificare il suo alibi. Tra gli indizi raccolti a carico del muratore, anche il passaggio ripetuto di furgone bianco Iveco Daily intorno alla palestra, che è stato identificato come il suo. Anche il suo telefonino ha agganciato celle poco distanti dalla casa dei Gambirasio. Ma Bossetti abita a Mapello, un posto così vicino da essere coperto dallo stesso ripetitore, gira sempre con quel furgone. A Brembate di Sopra ha un fratello, un commercialista, e ci passa spesso.
Il 26 febbraio 2015 con la chiusura delle indagini, però, Bossetti, che si è sempre proclamato innocente, è rimasto l’unico indagato e per lui è stato chiesto il rinvio a giudizio. La difesa ha percorso tutte le strade possibili per ottenre la scarcerazione del muratore 44enne, e dopo il no da parte del Riesame ha fatto ricorso in Cassazione, che si pronuncerà il prossimo 7 luglio.
Intanto la battaglia si è spostata nell’aula della Corte d’assise di Bergamo, dove i difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, sono intenzionati a provare la sua innocenza.
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