di Laura Carcano

Torino, 28 giu. (LaPresse) – “Nell’invitare i giovani all’ ‘amore casto’ Papa Francesco non si pone come giudice, non c’è mai da lui giudizio o un aspetto normativo. Il suo è più un invito, è più un richiamo a un ideale alto”. E’ l’analisi di Franco Garelli, che insegna Sociologia dei processi culturali e Sociologia delle religioni, Facoltà di Scienze Politiche Università di Torino, città che una settimana, in occasione della Ostensione della Sindone, è stata visitata da Papa Bergoglio, che presto ripartirà alla volta di Ecuador, Bolivia e Paraguay nel suo viaggio in Sud America dal 6 al 12 luglio. Garelli si è occupato di analisi degli stili di vita e dei modelli di comportamento dei giovani, di fenomeni religiosi nella società contemporanea, prestando particolare attenzione non soltanto ai cambiamenti che coinvolgono le confessioni religiose storiche ma anche le nuove forme della religiosità e i gruppi spirituali emergenti.

L’invito rivolto dal Papa ai giovani a Torino domenica scorsa a essere casti che tipo di comprensione può trovare da parte dei ragazzi di oggi e come può essere colto?

“Il Papa ha affrontato il tema dell’amore invitando a guardare alle opere e non tanto alle parole che vengono dette, all’atteggiamento reciproco, a cosa ognuno fa per l’altro, nello spirito di servizio, nella comunicazione e nel dialogo, al di là degli slogan e delle etichette. Papa Francesco, in questo quadro ha ricordato che c’è anche un valore della castità, dell’amore casto, un amore che non mette al primo posto l’edonismo e il piacere, che non si riduce alla ricerca del piacere a tutti i costi, magari fino a usare l’altro nelle relazioni, ma un amore che deve tendere alla purezza e alla gradualità, manifestandosi quando due persone hanno trovato una consonanza. Questo aspetto è tipico della concezione cristiana della vita e dei rapporti fra i sessi: un amore, a certe condizioni. Non è cedendo a ogni tentazione edonista – ha ricordato il Papa – che si realizza l’amore. E il Pontefice lo ha sottolineato con sobrietà, ma anche con fermezza. La differenza nella comprensione di questo messaggio sta fra chi è dentro un cammino di formazione religiosa e spirituale e cristiana e chi ne è fuori. Chi è dentro il cammino è orientato – assieme alla famiglia e alle persone con cui vive – verso rapporti interpersonali che devono essere trasparenti in cui ci si assume una responsabilità, in cui non usi mai l’altro. Chi è dentro questo cammino lo capisce, magari fa difficoltà a realizzarlo, a trovare la quadra nella vita quotidiana, però capisce l’obiettivo. Il Papa ha ricordato questo valore e chi riconosce questo percorso: valore in cui ci si apre alla affettività e c’è chiarezza e dove la sessualità non è disgiunta dall’affettività e in cui c’e’ un mix fra l’espressione dell’affetto e della sessualità. Chi è fuori da questa dinamica invece può avere difficoltà a capire cosa significa l’amore casto e può rimanere anche un po’ più indifferente e sconcertato, perché servono delle precomprensioni in rapporto a un cammino di formazione”.

Questo Papa quanto è progressista e quanto conservatore?

“E’ più progressista sul versante sociale, sul servizio, sull’attenzione agli ultimi e alla gente comune. Lo abbiamo visto a Torino, nell’incontro con il mondo del lavoro dove ha sottolineato la centralità dell’uomo, rispetto all’economia dello scarto. E’ molto aperto nel contatto con la gente: basta vedere come Papa Francesco sia prossimo alla condizione umana. E’ stato impressionante vederlo quando scendeva dal palco o fermava la papamobile, perché vedeva che c’erano dei bambini o dei portatori di handicap: era lì chinato su di loro, attento alle mamme e ai papà. E’ prossimo alla gente comune. Pensiamo a quante mani ha stretto, a quante persone ha guardato negli occhi, persone che cercavano di toccarlo o abbracciarlo. Per altri aspetti invece è un Papa che non si scosta molto dalla dottrina della Chiesa, per non depotenziare i rapporti della famiglie e della coppia, anche se non si pone come giudice, non c’è mai un giudizio o un aspetto normativo. Il suo è più un invito, più un richiamo a un ideale alto”.

Cosa pensa dell’invito di Francesco ai giovani a essere controcorrente?

“Io l’ho apprezzato molto, perché nel momento in cui avverte che i giovani sono l’anello debole della società e che il 40% dei giovani sembra essere un po’ ai margini della società, nello stesso tempo però, insiste molto perché i giovani si attivino per dare il meglio di sé nella società. Non vuole che la marginalità diventi una scusa, ma invita a essere costruttivi: essere controcorrente significa prendere l’iniziativa, vivere la propria leadership. Non è un Papa che invita i giovani a piangersi addosso: da un lato avverte la loro marginalità e dall’altro li invita a essere protagonisti, a fare di tutto per invertire la loro situazione, ‘vivere ma non vivacchiare, non mettersi in panchina o in pensione a 20 anni, ma a scommettere, osare, avere coraggio’. Sono tutte parole che ha detto il Pontefice anche con riferimento al mondo del lavoro. ‘Ripartire’ è il messaggio forte che ha lanciato”.

Rispetto ad altri Pontefici, che significato hanno le scelte che ha fatto a Torino Papa Francesco su dove andare e chi incontrare?

“Francesco ha fatto a Torino una visita in nome della Sindone e di Don Bosco. Però la cosa che ha caratterizzato questo Papa è l’incontro forte con la gente. L’incontro umano, afferrare le mani, i bambini, stare con le folle, senza agitarsi tanto, senza porsi come un elemento normativo, non è un riferimento lontanto ma molto prossimo alla condizione umana. Sul palco Papa Bergoglio era tranquillo, come se parlasse a un gruppo ristretto. Sono elementi che caratterizzano il suo modo di essere”.

Bergoglio non sembra essere stato particolarmente attento alla Torino del potere?

“Sì, non ha mai richiamato le autorità: ha fatto un saluto alla gente, anche a chi ha incarichi di potere, ma non ha fatto un discorso alla classe dirigente, perché è un Papa del popolo. Certo parla anche a quell’area della società, la incontra, ma si rivolge di più al suo popolo: è l’idea del pastore universale che incontra il suo popolo e soprattutto quelli che sono in difficoltà, che sono un po’ ai margini”.

Il richiamo ai santi sociali e alla Torino di fine ‘800 come si può interpretare?

“Rientra in questa sua proposta di reagire. Quando le cose vanno in un certo modo nella Chiesa c’è sempre stata una reazione che ha prodotto figure e opere di bene. Il suo messaggio è che anche oggi occorre reagire: essere costruttivi e ritrovare un protagonismo che impegna tutti e non solo chi ha alte responsabilità. Fa parte del suo personaggio come l’invito al concreto, all’amore operoso. Ai Salesiani, a Torino, Francesco ha detto ‘lavoriamo per essere fedeli alla vostra vocazione’ continuando a preparare i giovani a una formazione professionale, che dia loro un lavoro in campi ultimamente un po’ disattesi. I cristiani e i religiosi per il Papa devono aiutare a rimettere in moto la società, ripartendo dai bisogni cui gli altri non danno risposte sufficienti”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata