Alba (Cuneo), 18 feb. (LaPresse) – “Mettiamoci a tavola, parliamo da seduti. A tavola Ettore seppe che gli era stato trovato un lavoro alla fabbrica della cioccolata e che di questo doveva esser riconoscente al cavaliere Ansaldi”. E’ un passaggio de ‘La paga del sabato’, romanzo di Beppe Fenoglio pubblicato da Einaudi nel 1969, e la fabbrica in questione è proprio la Ferrero. Lo scrittore racconta di una grande fabbrica che, all’indomani della guerra, dà lavoro e speranza a migliaia di giovani. Che si ritrovavano però anche ad affrontare il difficile ritorno alla vita normale, alla routine borghese tra casa, famiglia e lavoro. Un passaggio molto difficile per tanti ex partigiani che per oltre un anno erano vissuti in clandestinità, col fucile sempre a portata di mano, in allerta e pronti alla battaglia.

Ed ecco come Fenoglio la racconta: “Arrivò davanti alla fabbrica della cioccolata. C’era già piú di cento operai e operaie, in qualunque direzione guardassero, sembravano tutti rivolti verso il grande portone metallico della fabbrica, come calamitati. Non si avvicinò, anzi si allontanò, andò verso un orinatoio e di là guardava i crocchi dei lavoranti e il portone ancora chiuso. Da dov’era poteva vedere la sirena alta su un terrazzino della fabbrica, e gli sembrava che l’aria intorno alla tromba tremasse nell’attesa del fischio. Finalmente arrivarono gli impiegati, otto, dieci, undici in tutto, non si mischiarono agli operai sull’asfalto, stettero sul marciapiede. Lui si nascose dietro l’orinatoio e li osservava attraverso i trafori metallici. ‘Io dovrei fare il dodicesimo’, si disse”.

Ma non ne aveva alcuna intenzione. “Io non sarò mai dei vostri”, si disse.

“Io avrò un destino diverso dal vostro, non dico piú bello o piú brutto, ma diverso. Voi fate con naturalezza dei sacrifici che per me sono enormi, insopportabili, e io so fare a sangue freddo delle cose che a solo pensarle a voi farebbero drizzare i capelli in testa. Impossibile che io sia dei vostri”.

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