Di Elisabetta Graziani

Torino, 6 lug. (LaPresse) – Dal ruolo di rottura di papa Francesco alle dinamiche che portano alcuni uomini di chiesa a chiudere un occhio sul fenomeno mafioso, in occasione della Fiera del Libro di Torino, Antonio Nicaso, giornalista, scrittore e fra i massimi esperti di ‘ndrangheta a livello internazionale, ha rilasciato a LaPresse questa intervista in cui parla del rapporto fra organizzazioni criminali e Chiesa alla luce dell’opera ‘Acqua santissima. La Chiesa e la ‘ndrangheta: storia di potere, silenzi e assoluzioni’ (ed. Mondadori), scritta a quattro mani con il procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria Nicola Gratteri. La riproponiamo ora nel mezzo delle polemiche scoppiate dopo che il 2 luglio a Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, la processione della Madonna delle Grazie si è fermata in segno di omaggio di fronte alla casa dell’ottuagenario capo della ‘ndrangheta locale, Peppe Mazzagatti. Oggi il vescovo di Oppido-Palmi, Francesco Milito, ha definito il fatto “gravissimo” e il procuratore Gratteri ha chiesto che “preti e vescovi mettano in pratica le parole del papa” che il 21 giugno ha scomunicato tutti i mafiosi. A maggio, Gratteri definì il libro “un atto d’amore per la Chiesa”.

Lei e Gratteri scrivete che i rapporti tra organizzazioni mafiose e Chiesa risalgono addirittura all’800. Ma quanti sono oggi i religiosi coinvolti?

“È difficile fare una stima, però ci sono moltissimi preti che continuano a sottovalutare la ‘ndrangheta perchè la ritengono un’espressione del territorio con cui, gioco forza, bisogna confrontarsi. Prima si faceva nella logica degli schieramenti politici: spesso preti e mafiosi sostenevano lo stesso candidato. Adesso sovente si vedono preti e vescovi che vanno in tribunale a difendere i mafiosi, definendoli dei galantuomini, delle persone che hanno fatto del bene alla comunità nonostante siano accusate di associazione mafiosa. E’ questa la cosa che in un certo senso sconcerta e sconvolge”.

Il fenomeno che riguarda il coinvolgimento degli uomini di Chiesa è nell’ordine delle decine o delle centinaia?

“Quello che emerge è nell’ordine delle decine, per fortuna. Il problema è che spesso fanno più notizia i preti che vanno in tribunale a difendere i mafiosi, definendoli galantuomini, oppure i preti che sono stati in passato coinvolti in faide o che andavano in giro armati”.

Citi qualche episodio eclatante…

“Per esempio a Palermo qualche settimana fa (ad aprile, ndr) è stato arrestato un mafioso che era anche priore di una confraternita, quindi organizzava processioni. Questo mafioso aveva avuto contatti con il cardinale di Palermo, nel senso che lo aveva frequentato, nel senso che ci sono fotografie che li ritraggono insieme. Niente di penalmente rilevante, però un mafioso che è capo di una confraternita diventa discutibile. Si tratta di Stefano Comandè, un boss di Cosa Nostra che la sera del venerdì santo ha portato le statue di Cristo morto e di Maria Addolorata per le strade del centro di Palermo ed era superiore della confraternita delle Anime Sante. Un altro esempio è la stessa Affrontata di Sant’Onofrio che quest’anno è stata commissariata”.

Come avete fatto a provare il legame Chiesa-mafia?

“I fatti si ricostruiscono dalle indagini in corso e da quelle non arrivate ancora a sentenza definitiva. Gli atti ci aiutano a capire che ancora molti uomini di chiesa continuano a frequentare i mafiosi. Nell’ambito della ricerca siamo stati supportati da studenti e collaboratori. E l’aspetto della ricerca è il piu importante perchè bisognava cercare di ricostruire questo rapporto Chiesa-mafia attraverso fonti d’archivio dall’800 ai nostri giorni. Abbiamo non solo spulciato tutte le sentenze che avevano coinvolto sacerdoti o che avevano a che fare con problemi riguardanti la Chiesa, ma ci ha aiutato anche molto la cronaca”.

Papa Francesco, secondo lei, ha il potere di rivoluzionare la Chiesa anche sotto questo aspetto?

“Noi diciamo che papa Francesco rappresenta una grande speranza perchè c’è la possibilità veramente di cambiare le cose. Giovanni Paolo II ha messo in discussione la mafia che uccide, la mafia che semina lutto. Questo papa sta cercando di mettere in discussione la mafia che non riesce a sottrarsi alle lusinghe del potere. Quindi una mafia più finanziaria, più legata ai rapporti con il potere. Speriamo che il papa possa, con fatti concreti, porre mano alla riforma dello Ior: sarebbe una bella cosa”.

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