Roma, 3 set. (LaPresse) – La causa della morte di Stefano Cucchi fu la “sindrome di inanizione”. “L’unica in grado di fornire una spiegazione dell’elemento più appariscente e singolare del caso in esame e cioè l’impressionante dimagrimento” del geometra 31enne arrestato per droga il 16 ottobre del 2009 e spentosi solo sei giorni dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma. E’ quanto si legge, in sintesi, nelle motivazioni della sentenza del processo Cucchi. La terza corte d’assise di Roma le ha depositate oggi.

La terza corte d’assise di Roma, nelle motivazioni della sentenza di condanna dei 6 medici (5 per omicidio e uno per falso), si allinea quindi alle conclusioni delle perizie. Mentre “al contrario – si legge – la tesi, sostenuta dalle difese degli imputati, secondo cui il giovane sarebbe stato condotto all’exitus da morte cardiaca improvvisa, non fornisce alcuna spiegazione della grave perdita di peso corporeo” di Stefano Cucchi “in contrasto con le risultanze probatorie”.

“NESSUNA PROVA CHE LO ABBIANO UCCISO LE LESIONI”. La tesi secondo cui la morte di Stefano Cucchi sia stata causata, secondo le perizie delle parti civili, delle lesioni vertebrali unitamente ad una ‘vescica neurologica’, che avrebbe dato origine ad una crisi cardiaca risulta alla corte poco convincente. Infatti anche “questa tesi – si legge nelle motivazioni depositate oggi – presta il fianco all’insuperabile rilievo che non vi è prova scientifico-fattuale che le lesioni vertebrali in questione abbiano interessato terminazioni nervose”.

“LEGITTIMO DUBBIO CHE SIA STATO MALMENATO DAI CARABINIERI”. “E’ legittimo dubbio – si legge ancora nelle motivazioni – che Stefano Cucchi, arrestato con gli occhi lividi e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri”.

“NON E’ COMPITO DELLA CORTE STABILIRE QUALE DEI CARABINIERI LO ABBIA MALMENATO”. La corte d’assise di Roma dichiara tra l’altro che “non è certamente compito della corte indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui”. Sulla dinamica dei fatti accaduti a Stefano Cucchi ci sono versioni discordanti, come quella sostenuta dal teste di origine africana, Samura Yaya.

“NULLA DI ANOMALO DALL’ARRESTO ALLA PERQUISIZIONE DOMICILIARE”. Quanto agli accadimenti nella caserma, “è indubitabile – scrive la corte – che nulla di anomalo si era verificato al momento dell’arresto e fino alla perquisizione domiciliare. Se qualcosa di anomalo si era verificato, ciò può verosimilmente collocarsi nel lasso di tempo che va tra il ritorno dalla perquisizione domiciliare (verso le 2 di notte) e l’arrivo della pattuglia automontata (intorno alle 3.40), dovendosi ragionevolmente escludere che atti violenti fossero stati posti in essere dal carabiniere Colicchio (che chiamò il 118 perché Cucchi non stava bene) o dai carabinieri della pattuglia che si erano limitati ad effettuare il trasferimento dell’arrestato da una caserma all’altra”.

ILARIA CUCCHI: “VOGLIONO STENDERE UN VELO”. Le motivazioni della sentenza sulla morte di Stefano Cucchi “sono esattamente come mi aspettavo”. “Non so cosa devo capire da questa sentenza, se non che si stende un velo su quanto avvenuto a mio fratello”. Così la sorella Ilaria commenta a LaPresse le motivazioni della sentenza della terza Corte d’assise di Roma, depositate oggi.

“Si dice – aggiunge – che sarebbe morto per dimagrimento. A questo putno dovremmo mettere sotto accusa coloro che stabiliscono i requisiti per i pesi mosca”, prosegue, ricordando che il fratello praticava pugilato in quella categoria. “Nel momento in cui ammettono che mio fratello è stato ricoverato per le lesioni – sottolinea – come si può dire poi che è morto per dimagrimento?”.

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