Torino, 3 giu. (LaPresse) – “Questa sentenza è un inno alla vita, è un sogno che si avvera. Spero che serva a tutelare la vita e la salute, sia nei luoghi di lavoro che fuori”. Così, soddisfatto, il sostituto procuratore di Torino Raffaele Guariniello ha commentato a caldo la sentenza di secondo grado del processo Eternit, che ha visto riconoscere oggi 18 anni di carcere all’imputato, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, l’unico rimasto dopo la morte poche settimane fa a 92 anni del barone belga Louis De Cartier De Marchienne. In primo grado i due erano stati condannati alla pena di 16 anni di reclusione.
SENTENZA RIFORMATA. Grande la soddisfazione dei familiari delle vittime, nonostante le differenze tra la sentenza di primo e secondo grado, non tutte positive dal punto di vista delle parti lese. Cresce la pena carceraria di due anni, poiché il reato di disastro doloso permanente viene riconosciuto anche per i siti di Rubiera e Bagnoli, oltre che Casale Monferrato e Cavagnolo. Ma diminuisce il numero delle parti civili risarcite. Inoltre, la sentenza non riconosce infatti il reato di omissione dolosa di misure di sicurezza all’interno degli stabilimenti. Per quanto riguarda De Cartier, il giudice Alberto Oggè ha dichiarato il “non doversi procedere”, vista la morte, e in ogni caso, secondo la Corte, il barone non avrebbe commesso il fatto prima del 1966.
Revocate inoltre nei suoi confronti le sanzioni accessorie e civili, e quelle civili per la Etex, azienda che a lui faceva capo. Per quanto riguarda Schmidheiny, il giudice ha stabilito che il periodo in cui il miliardario svizzero gestì la Eternit va dal giugno del 1976, per gli stabilimenti di Casale Monferrato, Cavagnolo e Bagnoli, e dall’80 per quello di Rubiera, e arriva fino al giugno del 1986 per Casale e Cavagnolo, fino al 1985 per Bagnoli, fino al 1984 per Rubiera. L’imputato, nonostante la fabbrica sia passata di mano nel 1972, è stato quindi assolto per il periodo che fino a giugno 1976 per non aver commesso il fatto.
FAMILIARI VITTIME: SENTENZA ESEMPLARE.“Perchi non c’è più è il massimo che si poteva ottenere”, ha commentato Bruno Pesce, coordinatore di Vertenza amianto, di Casale Monferrato, e storico leader della lotta. “E’ una sentenza esemplare che dovrà essere esaminata per i risarcimenti, ma per chi non c’è più non possono essere dati, e quindi è il massimo. Soddisfatta anche la presidente dell’Afeva, Associazione familiari e vittime amianto di Casale, Romana Blasotti Pavesi, ‘pasionaria’ che a causa delle fibra killer ha perso cinque parenti stretti, tra cui il marito e una figlia. Lei, silenziosa e senza lacrime come sempre, ha ascoltato la lettura del verdetto, nonostante l’assalto di telecamere e flash. E poi ha parlato, con poche ma chiare frasi: “Nonostante lo schiaffo che hanno avuto, i difensori non hanno capito niente. Sono contenta – continua – che la giustizia faccia il suo corso, ma la cosa che mi fa più male è che la grande tragedia che provoca l’amianto per loro non sia niente, e questo non si può accettare”.
MANCATO RISARCIMENTO INAIL. Tra i maggiori motivi di dissapore, però, c’è la disposizione della sentenza secondo cui nessun risarcimento viene stabilito a favore di Inail e Inps. “L’esclusione dell’Inps me l’aspettavo, quella dell’Inail no. Mi sorprende. E’ un po’ una bomba”, commenta l’ex operaio Eternit Nicola Pondrano, vice presidente Afeva e presidente del Fondo vittime amianto. “Noi – ha aggiunto – facevamo riferimento all’Inail. Speravamo che rimanesse in giudizio, ha 270 milioni di euro di costi sostenuti per le vittime dell’amianto. La sua esclusione ci crea dei problemi. Come ente aveva già iniziato a recuperare le somme con legali in Belgio e Svizzera. Devo riflettere sul verdetto, perché questo indebolisce la nostra lotta. Il risarcimento ha una valenza importante anche per essa, per vanificare il business dell’amianto in tutto il mondo”.
DIFESA: SENTENZA INACCETTABILE, SIAMO INDIGNATI. Molto delusa la difesa dell’imputato Schmidheiny. “Leggeremo le motivazioni. Resta il fatto che la sentenza resta fuori dai canoni di accettabilità. Resto convinto che Stephan Schmidheiny non abbia commesso reati dolosi”, ha commentato l’avvocato Guido Carlo Alleva, che giudica tuttavia “positivi” gli aspetti civilistici. Sulla stessa onda l’altro difensore del magnate svizzero, Astolfo Di Amato. “Ho ascoltato la sentenza e sono rimasto indignato dalla decisione. Sono emerse molte incongruenze”, ha commentato chiedendosi poi: “E adesso quale imprenditore straniero investirà in Italia? Il mio assistito investì molto sulla sicurezza e spese 75 miliardi dell’epoca, senza trarne profitto. Ora è stato condannato 18 anni. E’ un incentivo questo a investire?”.
31 MILIONI A CASALE, 20 A REGIONE PIEMONTE. Nonostante Inps e Inail non siano state comprese nella lista a cui è stato riconosciuto un risarcimento, alte sono le provvisionali delle altre parti civili. Altissima la cifra per il Comune di Casale Monferrato, 30,9 milioni di euro, così come per la Regione Piemonte 20 milioni. Maxi risarcimento anche per la Asl di Alessandria, 5 milioni di euro, e per il Comune di Rubiera, 2 milioni. Rientrano nell’elenco anche la Regione Emilia Romagna (350mila euro), diversi comuni del casalese (per un totale di 1,45 milioni di euro), le sigle sindacali (100mila euro ciascuna), e ancora Wwf (70mila euro), Associazione italiana esposti amianto (100mila), Afeva (100mila), Medicina Democratica e Legambiente (70mila). Niente invece al Comune di Cavagnolo, che si era ritirato come parte lesa nei confronti di Schmidheiny, dopo aver accettato nel 2011 un’offerta di 2 milioni di euro.
30MILA EURO AI SINGOLI. Riconosciuti risarcimenti anche per i singoli individui che si sono costituiti parte civile, per tutti 30mila euro. La provvisionale, spiega l’avvocato Sergio Bonetto, tra i difensori di parte lesa, è la stessa “sia per i vivi non malati, sia per i malati, sia per le famiglie dei morti. Sono tutti uguali”. La sentenza, spiega ancora, “riconosce solo il danno da esposizione per le provvisionali”.
CENTINAIA IN AULA, DELEGAZIONI DALL’ESTERO. Grande, come già era stato per la sentenza di primo grado, la partecipazione di pubblico. Sette pullman sono partiti questa mattina da Casale Monferrato, tra cui due con a bordo oltre cento studenti delle scuole superiori locali. Presenti anche delegazioni dall’estero. Dalla Spagna, dove erano attive otto fabbriche di amianto della Uralita e, spiega Juan Carlos Paul, rappresentante della Federazione delle associazioni locali, si stimano 40mila vittime asbesto correlate; dalla Francia, dove, ricorda Pierre Pluta, giunto a Torino con una delegazione di cento persone, si contano dieci morti al giorno per amianto; e ancora dal Belgio, dove erano attive tre fabbriche e ogni anno si toccano i 900 morti.
LA STRAGE DELL’AMIANTO. Anche in Italia l’Eternit ha fatto strage. Gli stabilimenti operativi sulla penisola erano quattro. Oltre al più grande, quello di Casale Monferrato (Alessandria), chiuso nel 1986, c’erano impianti a Rubiera (Reggio Emilia), Cavagnolo (Torino) e Bagnoli (Napoli). In tutto, è accertato che la fibra killer lavorata in questi siti abbia provocato più di tremila vittime, principalmente per mesotelioma, il tumore causato dall’amianto. Secondo gli esperti, il picco dei decessi non si è ancora raggiunto, dovrebbe venire toccato nel 2025, e ogni anno a Casale Monferrato si registrano 50 nuovi casi di mesotelioma pleurico. Oggi molti in aula ricordavano con un piccolo cartello al collo la morte di Paola Chiabrera, 36enne di Casale, deceduta pochi giorni fa, a cui venne diagnosticata la malattia proprio il giorno della sentenza di primo grado.
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