E' una pianta succulenta appartenente alle Cactacee e al genere Opuntia

Le piante, lo dico da sempre, sono più simili alle persone di quanto si possa immaginare. Alcune di queste sono medicamentose e si prendono cura di noi, altre ci nutrono grazie al loro sapere e alla capacità di dare frutti, altre ancora ci regalano emozioni attraverso una bellezza di rara intensità, e altre, infine, sono in grado di generare un’allegra simpatia in tutto ciò che gli gira intorno. Una di queste piante, incredibilmente, riesce a mettere insieme e a regalarci tutte queste peculiarità, ed è la pianta di cui vi parlerò questa settimana: il fico d’India.

Il fico d’India è una pianta succulenta appartenente alle Cactacee e al genere Opuntia, caratterizzato da una moltitudine di specie. Anche se ormai da molto tempo la sua immagine è divenuta un’icona di mediterraneità, il fico d’India è originario del Messico da cui, secondo l’ipotesi più accreditata, pare sia arrivato con la scoperta delle Americhe. La cosa certa è che ormai, da parecchi secoli, il fico d’India prospera in tutte le regioni più calde del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato casa e messo radici grazie a condizioni climatiche più che favorevoli.

Coltivare allegria con il fico d’India

Coltivare il fico d’India

Coltivarlo in piena terra è un’opportunità generalmente riservata a chi vive nelle zone costiere soleggiate dal clima temperato. Tuttavia, anche chi vive al Nord può comunque godere della sua irresistibile allegria coltivando il fico d’India in vaso con le uniche precauzioni di tenerlo il più possibile in pieno sole, ritirandolo in casa, o in una serra invernale, nei mesi più freddi. Va detto, però, che coltivato al Nord, salvo rari casi, è difficile che fruttifichi e, anche quando avviene, il gusto dei suoi frutti sarà decisamente meno intenso.

Il fico d’india si mostra in tutta la sua simpatia attraverso i cladodi, chiamati anche pale, che sono di fatto i rami della pianta, dalla forma cilindrica e appiattita, e ricoperti di spine che si staccano con molta facilità, fatta eccezione per alcune varietà, tra cui, ad esempio, la Burbank Spineless, caratterizzate dall’assenza di spine. Queste pale, grazie al loro strato ceroso, catturano l’acqua accumulandola nei tessuti senza disperderla. Grazie a questa riserva, la pianta riesce ad affrontare anche lunghi periodi di siccità. I fiori, in base alle differenti varietà, spaziano dal giallo all’arancio-rosso per poi trasformarsi in succulenti frutti dalla forma tonda o allungata e dalla polpa che riporta il colore del rispettivo fiore.

La crescita di queste piante è rapida e richiede rinvasi frequenti. Se, invece, è in piena terra, può facilmente superare i 3 metri d’altezza. Necessita, ovviamente, di molto sole e di un terriccio specifico per piante grasse, leggero e ben drenante. Ogni parte del fico d’India è commestibile. È infatti una pianta di cui non si butta via niente, neanche le cosiddette pale che, soprattutto in Sicilia, terra madre di queste piante dalle grandi orecchie, diventavano cibo per gli animali da allevamento. Anche la buccia è commestibile: racconti di vecchi isolani ci riportano di come le bucce delle stesse pale divenivano, una volta cucinate, gustose cotolette impanate, oppure fritte in pastella.

Insomma, il fico d’india è un concentrato di generosità racchiuso in un grande e dolce sorriso. Un Topo Gigio (per chi se lo ricorda) succulento e gustoso, dal carattere allegro e simpatico, scherzoso e piuttosto burlone. Non fosse altro che per la leggenda che narra che in origine il fico d’India fosse velenoso e per questo fu importato in Sicilia dai turchi, al fine di distruggere con esso i popoli cristiani. La leggenda continua narrando che grazie ad un miracolo, ma io preferisco pensare che ciò che fece lo fece per burlarsi dei malvagi, appena esso fu trapiantato in Sicilia cominciò incredibilmente a dare frutti buoni sani e dolci, strizzando l’occhio alla vita e ciondolando le pale in segno di allegria

Il fiore della settimana scorsa

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