Intervista al responsabile del centro di Settimo sulle contraddizioni del sistema accoglienza
"Non può un essere umano pagare colpe non sue. Esiste nel sistema dell'accoglienza dei migranti un'inadempienza dell'Italia e, soprattutto, dell'Europa". Ignazio Schintu, responsabile del Centro d'accoglienza Fenoglio della Croce Rossa a Settimo Torinese, si scalda quando parla di questioni che, da molti anni, vive e affronta quotidianamente. E' stato emergency manager in teatri difficili: ad Haiti come in Tunisia, in Kenya come nel Kurdistan iracheno.
Cosa intende per inadempienza nel sistema accoglienza?
Si verifica quando, al termine di un progetto di integrazione articolato e valido come lo Sprar nel momento in cui dall'accoglienza passi alla fase della restituzione, fai saltare il tavolo. Un tavolo, tra l'altro, molto costoso. Sadjo, Mamadou e Cheick hanno atteso da due anni una risposta alla loro richiesta di asilo che doveva arrivare entro sei mesi. Nell'attesa noi abbiamo contribuito alla loro integrazione con l'alfabetizzazione, la scolarizzazione e la formazione professionale. Sono inadempienti perché la loro inosservanza comporta un aumento di spesa importante. Ai tre giovani era stato promesso un futuro diverso, sono stati illusi di essere integrati. Loro si sono applicati, hanno studiato, hanno rispettato ogni regola, mai sgarrando con la legge, ma la Commissione territoriale gli ha negato ogni protezione, perché non rischierebbero la loro vita.
Cosa succederà dopo il diniego della Commissione?
Sono usciti dal progetto Sprar e dovrebbero essere rispediti nei loro Paesi, ma non potranno essere rimpatriati perché non ci sono accordi bilaterali con Senegal e Mali. Sono giovani con fame di sapere e voglia di fare. Loro sono solo la punta dell'iceberg di una questione all'ordine del giorno. Succederà che i tanti Sadjo, Mamadou e Cheick lasceranno il loro centro, in questo caso Settimo, e saranno abbandonati ai margini delle grandi città, diventando invisibili e alimentando quella fascia di vulnerabili di cui nemmeno conosciamo i numeri. Quella fascia di persone che rischia di entrare in contatto con la malavita o di essere sfruttata nelle campagne. Ora, i nostri tre giovani hanno fatto ricorso. Dovrebbero aspettare il giudizio dell'appello nel loro Paese, altra insensatezza. Noi li terremo fino al giudizio dell'appello. Dopo non so cosa succederà. Sono nati nella parte sbagliata del mondo, non meritano di tornare in un luogo da cui sono scappati. In altre occasioni, tipo l'emergenza Nord Africa, è finita con una sanatoria e con un riconoscimento indiscriminato della protezione umanitaria. Non so se è stata la soluzione migliore".
Si è fatto un gran parlare dei costi del sistema dell'accoglienza sul territorio, quali sono?
Il costo a persona è di 35 euro al giorno come rimborso alla struttura che li ospita. Quest'ultima deve impegnarsi a dare assistenza e scolarizzazione. Nei due anni si saranno spesi oltre 30 mila euro a persona. Sadjo, Mamadou e Cheick hanno seguito tutto il percorso di integrazione e avrebbero la possibilità di avere un lavoro, grazie alle loro competenze hanno già ricevuto offerte. Non andrebbero a rubare lavoro agli italiani, ma a occupare settori che richiedono nuova manodopera. Se il progetto si fosse concluso nel modo migliore sarebbero stati assunti e avrebbero pagato le tasse. Secondo una ricerca del 'Sole 24 ore' le pensioni di 650mila pensionati italiani vengono pagate da stranieri. La loro 'restituzione' si manifesta soprattutto in questo. Ma oltre al computo da ragioniere c'è l'aspetto umano. Noi siamo per il rispetto delle regole ma contro ogni forma di respingimento.
La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale sostiene che Sadjo, Mamadou e Cheick nei loro Paesi d'origine non rischiano la vita, le loro testimonianze dicono l'esatto contrario. Qual è la verità?
Se uno va sul sito del ministero degli Esteri 'Viaggiare Sicuri' leggerà che il Mali non è un Paese sicuro: la vita di un italiano vale, allora, di più di quella di un africano? La situazione è difficile nel Paese, negli ultimi mesi ci sono stati attentati, l'ultimo l'attacco jihadista all'hotel di Bamako. La Commissione ha fatto questa scelta, avrà avuto elementi per capire, ma credo che un minimo protezione avrebbe dovuto dargliela, anche solo umanitaria. Un giudizio così drastico non ce l'aspettavamo. Nel 2014 la Commissione in Piemonte ha rigettato 50% delle domande, in altre regioni non è così rigida.
Il sistema dell'accoglienza può trasformarsi in un business?
Il rischio c'è, lo fai anche se accogli otto persone in un appartamento destinato a quattro persone. Certo, ci troviamo in una situazione di straordinarietà, ma non bisogna mai abbandonare l'aspetto umano. Noi l'accoglienza la sappiamo fare, siamo stati in esperienze internazionali d'emergenza in Tunisia, Kenya e Haiti. L'amministrazione di Settimo ha fatto un'accoglienza che andasse oltre l'emergenza".
Come valuta l'introduzione degli hotspot?
Non servono, un metodo 'tu sì' 'tu no' non funziona, ora come ora gli unici a cui viene concessa protezione per il ricollocamento sono i migranti di Siria, Iraq ed Eritrea. I Cie, inoltre, sono da chiudere perché non hanno mai dato risposta. Vorrei, però, specificare che non può essere solo il Sud Europa a occuparsi del problema, ho apprezzato come Matteo Renzi abbia giustamente alzato la voce sul tema. Ma è davvero assurdo che il percorso di integrazione si fermi così e che persone che potrebbero oggi restituire quello che hanno ricevuto vengono cacciate.
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