Salvini e Di Maio vorrebbero altro tempo per lavorare però Mattarella non ha alcuna intenzione di concederlo

Nel teatrino politico che la compagnia di giro ha messo insieme dal 5 marzo in avanti, una cosa ormai è certa: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non concederà una terza chance ai partiti. Le consultazioni-bis bastano e avanzano al Capo dello Stato per scattare l'istantanea del Paese: se le forze politiche che hanno vinto le elezioni non troveranno il modo di esplicitare un accordo – sostanzialmente già in atto – nei secondi colloqui al Quirinale, sarà il Quirinale medesimo a intervenire attraverso l'uso di strumenti che gli competono.

L'Italia – è il timore di Mattarella – può ancora aspettare per avere un esecutivo ma comincia ad avere una certa fretta: ci sono incombenze economiche e internazionali da rispettare e da tutelare, c'è soprattutto bisogno di uscire dagli equivoci. Il gioco delle parti è finito, è indispensabile che le parti comincino a giocare. Sarà un giovedì pomeriggio caldissimo, quello che si profila all'orizzonte. Non solo per l'umidità che soffoca la Capitale ma per la sfida che verrà consumata in campo neutro. Non conta chi parlerà prima (la coalizione di centrodestra) e chi dopo (il Movimento 5 Stelle), conta cosa verrà detto.

Il copione del mercoledì ha offerto le solite baruffe dialettiche (Salvini a Di Maio: "Non può fare come Alberto Sordi che diceva: Io sono io e voi nun siete un…") e i consueti riavvicinamenti che un po' hanno stancato: uno schiaffo e una carezza, sempre così da un mese abbondante a questa parte. Ora i nodi devono venire al pettine, per usare e abusare una frase fatta: la leadership dell'esecutivo, la gestione del 'problema' Berlusconi, le sintonie programmatiche. Salvini e Di Maio vorrebbero altro tempo per lavorare, più che altro per ammorbidire il proprio elettorato, però Mattarella non ha alcuna intenzione di concederlo. O di concederne troppo. La telefonata tra i due capi per eleggere il leghista Nicola Molteni alla presidenza della Commissione speciale della Camera va letta come un ulteriore passo avanti. Ma non è sufficiente.

Vedremo se la notte porterà consiglio, in linea teorica venerdì potrebbe uscire il pre-incarico per Matteo Salvini (come capo della coalizione con più voti e più seggi), sempre che il leader del Carroccio non consideri l'investitura una trappola per bruciarlo. Il ruspante Matteo – dell'altro, Renzi, si sono ritrovate sparute tracce in Senato – teme di fare la fine di Pier Luigi Bersani cinque anni fa, anche se viene da chiedersi per quale scopo dovrebbe venire fregato. E allora a chi toccherebbe? A Di Maio? Si cammina sul filo e non c'è la rete sotto: in che modo il leader pentastellato dovrebbe/potrebbe 'digerire' la mancata premiership e la presenza dei berluscones (un paio di ministeri in quota rosa) non è dato sapere, ma qualora le rigidità perdurassero a Mattarella non resterà che la terza via. Rispetto al suo predecessore, Giorgio Napolitano, non ha la pretesa di dettare il cammino, però non è nemmeno disposto a rimanere ostaggio di partiti e coalizioni. O forse ha ragione Beppe Grillo: "Rilassatevi un po', succederà una cosa meravigliosa. Siamo un Paese straordinario".
 

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