I legislatori e i giudici sono invitati a tener conto della salvaguardia del legame tra il bambino e la madre e del diritto del bambino di vivere in libertà

Il tema delle madri detenute e dei loro figli piccoli è stato affrontato sia dalla Commissione europea che dal Consiglio d’Europa, l’organizzazione non-Ue che si occupa di diritti umani, e dalla relativa Corte europea dei diritti umani. La competenza rimane in capo agli Stati membri, pertanto le norme rimangono non vincolanti. I legislatori e i giudici sono invitati a tener conto di due elementi non coincidenti: sia il diritto della salvaguardia del legame familiare tra il bambino e la madre, sia il diritto del bambino di vivere in libertà, al di fuori di una prigione.

A dicembre 2022, la Commissione ha pubblicato una raccomandazione sui diritti procedurali degli indagati e degli imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione. La raccomandazione fa riferimento agli articoli 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, che “sanciscono il diritto alla vita familiare e i diritti del minore”, nonché ai principi del Consiglio d’Europa. Afferma inoltre che gli Stati membri dell’Ue dovrebbero fornire strutture idonee per ospitare le visite dei familiari in condizioni a misura di bambino e garantire contatti regolari e significativi tra i membri della famiglia. In una sentenza storica del 21 marzo 2023, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che le decisioni riguardanti i minori dovrebbero prendere in considerazione in via preliminare il loro interesse superiore e che i minori hanno diritto, quando separati da un genitore in carcere, a contatti regolari e continui con il genitore, anche durante la custodia cautelare.

In Italia il giudice può disporre le misure alternative al carcere. Va detto il numero dei bambini in carcere è fortemente diminuito negli ultimi anni. La riduzione – spiega l’associazione Antigone in un report – non si deve agli effetti della Legge Finocchiaro del 2001 e della Legge Buemi del 2011, ma al Covid. “La consapevolezza da parte della magistratura del pericolo che il Covid-19 poteva costituire per i bambini ha fatto sì che, senza cambiamenti normativi, si applicassero le leggi già esistenti al fine di farli uscire dal carcere. Cosa che dunque si poteva fare già ben prima”, scrive Antigone.

Come funziona negli altri Paesi

Germania – E’ spesso citata come un modello di eccellenza. Alle madri è consentito tenere i propri figli in prigione fino a quando il bambino non compie 6 anni. Ci sono 6 prigioni chiuse che consentono l’ingresso ai bambini fino a 3 anni e 2 prigioni aperte che consentono l’ingresso ai bambini fino a 6 anni. Si tratta di strutture specifiche che offrono un ambiente più simile a una casa che a un carcere e che sono attentamente gestite con personale formato per supportare non solo la detenzione ma anche il reinserimento sociale e lavorativo delle madri

Francia – Le donne incinte o quelle con figli fino a 18 mesi possono essere rinchiuse insieme ai loro figli in unità specifiche chiamate asili nido ma non ci sono strutture esterne per ospitare le detenute madri con figli. Ci sono 25 carceri autorizzate a ricevere unità madre-bambino, con una capienza totale di 66 posti.

Spagna – I bambini possono rimanere nei centri penitenziari solo fino a tre anni. Esistono poi strutture specifiche: sono le Unità madri di Madrid, Siviglia e Palma di Maiorca, in cui si cerca di eliminare tutti gli elementi “carcerari” delle infrastrutture, in modo che non sembrino prigioni e di ricreare una vita quotidiana il più normale possibile per i bambini. Nel 1998 è stato avviato un progetto di moduli familiari presso il Centro Penitenziario di Aranjuez, a Madrid, in cui le coppie che soddisfano determinati requisiti, possono vivere in una stanza, con un letto matrimoniale e un bagno, come se fosse una vera famiglia.

Le raccomandazioni Onu e la Carta dell’Unione africana 

Le Norme delle Nazioni Unite del 2010 sul trattamento delle donne prigioniere e sulle sanzioni non detentive per le donne delinquenti (le “Norme di Bangkok”) forniscono alcune garanzie per i bambini incarcerati con i loro genitori. Le Norme stabiliscono che le alternative non detentive alla custodia dovrebbero essere applicate ove possibile se qualcuno che rischia la reclusione ha responsabilità di cura esclusive; i bambini devono essere presi in considerazione in tutte le fasi del contatto di un genitore con il sistema di giustizia penale; la decisione se un bambino debba essere separato dalla madre (o dal padre) deve essere basata su valutazioni individuali e sul miglior interesse del bambino; i bambini in carcere con la madre (o il padre) non dovrebbero mai essere trattati come prigionieri e la loro esperienza deve essere il più possibile vicina alla vita di un bambino al di fuori; alle madri/ai padri devono essere concesse quante più opportunità possibili di vedere i bambini che sono incarcerati con loro. Anche l’Unione africana si è dotata di una Carta africana sui diritti e il benessere del bambino che stabilisce esplicitamente una serie di disposizioni per i figli di genitori incarcerati. Sottolinea inoltre che le condanne non detentive devono sempre essere considerate per prime e che dovrebbero essere stabilite e promosse alternative alla detenzione

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