La squadra fenomeno negli anni '70 ha ricevuto la più alta onorificenza della pallacanestro italiana
Sei scudetti, cinque Coppe dei Campioni, raggiungendo la finale della massima competizione europea per dieci anni consecutivi. La Pallacanestro Ignis Varese degli anni '70 ha segnato un'epoca nel basket italiano. Per questo la Federazione, su proposta della Commissione degli Onori, ha inserito quella squadra nell'Italia Basket Hall Of Fame 2015, la più alta onorificenza della nostra pallacanestro. Il giusto tributo ad un gruppo straordinario, fatto di campioni leggendari come Dino Meneghin, Aldo Ossola, Marino Zanatta e Bob Morse guidati da tecnici altrettanto mitici come il 'professor' Aza Nikolic, Nico Messina e Sandro Gamba.
Ma tutto ha avuto inizio grazie all'intuizione di Giovanni Borghi, che nel 1956 decise di legare il nome della sua azienda di elettrodomestici Ignis con la squadra della città. "Mio padre è sempre stato un uomo di sport, iniziò con il pugilato e il ciclismo poi si innamorò di questo gioco", ricorda a LaPresse Guido Borgi, il figlio dello storico patron e a sua volta ex presidente della Pallacanestro Varese. "Il progetto nacque da un'esigenza del territorio, Varese aveva una discreta squadra che giocava nella storica palestra di via XXV Aprile davanti a 1000 persone o poco più. Mi ricordo che le prime file erano talmente vicine al campo, che gli spettatori erano costretto a spostarsi per far fare le rimesse laterali ai giocatori", aggiunge. "Abbiamo anticipato i tempi, siamo stati la prima squadra a dotarsi di un vero preparatore atletico con Vittori. Ma niente si può fare se non hai gli uomini e gli allenaotri", ha detto ancora Guido Borghi. "Sono contento per questo riconoscimento, anche perchè un piccolo contributo credo di averlo dato anche io", conclude.
Colonna di quella grande squadra che ha dominato in Italia e in Europa, Dino Meneghin non ha dubbi: "E' la giusta celebrazione di una società, di una squadra che ha fatto la storia del nostro basket negli anni 70'. Una città come Varese, non grandissima, ma che ha nel dna la pallacanestro. Tutto è stato reso possibile grazie alla famiglia Borghi che ha investito e creduto in quel progetto".
"Eravamo tutti giocatori nati dal vivaio – ricorda Meneghin – a cui furino inseriti campioni come Zanatta. Tutto era gestito da grandi allenatori come Aza Nikolic o Sandro Gamba e da pochi dirigenti che lavorano in modo semplice".
"La forza non erano solo le vittorie ma la continuiità del progetto. A quei tempi le squadre di basket erano fatte da otto dodicesimi da giocatori italiani, ai quali veniva dato la possibilità di dimostrare il loro valore e migliorare giocando. Era il periodo dei mecenati – ricorda ancora SuperDino – il patron Borghi era un vero appassionato di sport. Oggi l'unico imprenditore mecenate rimasto è Armani a Milano".
Dieci anni di successo, sono due i ricordi e i flash che a Meneghin vengono in mente pensando a quegli anni. "Sicuramente il primo scudetto vinto nel 68/69, dove ci davano per retrocessi e nessuno credeva in questo progetto. Quando abbiamo vinto quello scudetto avevo 19 anni, ricordo l'ultima partita e l'invasione pacifica di campo dei tifoi. Poi l'anno successivo, quando a Sarajevo vincendo la Coppa Campioni contro l'Armata Rossa ci diede una dimensione europea", conclude Meneghin.
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