"Non pensavo fosse così forte, un vero combattente" disse uno stordito Alì dell'avversario appena sconfitto, non nascondendo l'enorme fatica del match: "Sono tutto dolorante, ora dormirò per una settimana". Così equilibrato, così intenso, così indimenticabile. Nessun ko, solo tanta rabbia, classe e umanità. Tanto basta per ricordare "Thrilla in Manila" come uno dei match più belli della storia. Oggi come quarant'anni fa.

 Sarà pure stato il primo incontro tra Muhammad Ali e Joe Frazier a essere denominato il 'match del secolo', ma è la terza e ultima sfida tra i due giganti dei pesi massimi a trovare un posto speciale nella storia della boxe. Era il 1º ottobre 1975, quando all'Araneta Coliseum va in scena uno degli incontri pugilistici più intensi e apprezzati, dal nome esotico e tambureggiante di 'Thrilla in Manila', gioco di parole americano che omaggiava la città di Quezon, allora capitale delle Filippine, poco fuori Manila. Lì sarebbero entrati definitivamente nella leggenda Ali e Frazier. Nessun ko, ma tanta sana boxe da parte di due campioni ormai negli anni della maturità ma ancora capaci di dare spettacolo. Ad aggiudicarselo Ali, quello che rimase sulle proprio gambe con maggior convinzione. Il match fu davvero spietato, 14 round di un'intensità rara, di colpi, tanti, incassati. Una nobile arte che mostrò il suo apice e anche il suo lato più crudo e fisico. Ad avere la peggio Frazier. Rimarrà nella storia l'immagine dell'angolo di 'Smoking Joe', frastornato e sanguinante.

 

 

L'allenatore, Eddie Futch, con l'asciugamano rosso sulla spalla destra, a parlare con il suo pugile, a consigliarlo. Caparbiamente Frazier avrebbe voluto andare avanti, non mollare, dopo tutto Ali era 1-1 contro di lui e non era intenzionato a regalargli lo scettro. Ma alla fine cedette, dall'angolo fecero capire che non sarebbe andato avanti. La vittoria fu di Alì, ma è proprio in quel momento che si capì la grande umanità del campione, ridotto allo stremo da un match decisamente duro per entrambi. I 191 centimetri del pugile di Lousiville barcollarono mentre cercava di esultare e, poco dopo, anche il grande Alì cadde steso sul ring,frastornato dai 14 round tutti sangue e sudore contro un Frazier, sconfitto, ma rivale sicuramente all'altezza.

 

"Penso che sia la cosa più vicina alla morte" disse Alì poco dopo essersi rimesso in forze, poi, con la classe che contraddistingue i campioni, lodi all'avversario: "Un tipo veramente duro, non penso che avrei resistito a tutti quei pugni, io". Sì perché di colpi a segno Alì ne aveva messi parecchio. Non era il vecchio pugile, agilissimo di gambe, era maturato dopo lo stop forzato, era più saggio e incassatore. Ma aveva iniziato quel fatidico match con in testa una tattica ben precisa: sfruttare la lenta partenza di Frazier e un allungo nettamente superiore, visti i quasi 10 centimetri di altezza in più rispetto all'avversario. Più veloce di mani, più in grado di sfruttare colpi alla distanza, Alì puntò a stancare Frazier, in modo da non metterlo in condizioni fisiche idonee quando avrebbe finalmente carburato.

 

 

Ma Frazier non poteva starci e rispose con foga inaspettata. Poi lo scatto del campione, un tredicesimo round che fu ancora più furioso dei precedenti, con il paradenti di Frazier a volare in aria e nella ripresa successiva, dove i colpi incassati furono decine, l'avversario di Alì non riuscì nemmeno tentare di pensare al round successivo. "Non pensavo fosse così forte, un vero combattente" disse uno stordito Alì dell'avversario appena sconfitto, non nascondendo l'enorme fatica del match: "Sono tutto dolorante, ora dormirò per una settimana".Così equilibrato, così intenso, così indimenticabile. Nessun ko, solo tanta rabbia, classe e umanità. Tanto basta per ricordarlo come uno dei match più belli della storia. Oggi come quarant'anni fa.

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