Roma, 28 nov. (LaPresse) – “Se scopro un compagno venduto? Ciò che succede nello spogliatoio deve restare lì”. Così Pablo Daniel Osvaldo nel numero di GQ in edicola dal 29 novembre. “Io – aggiunge Osvaldo – non faccio il delatore, ma non mi volto. In silenzio, lo ammazzo di botte”.

“Compivo 20 anni. Un freddo cane, la neve, l’albergo in mezzo al nulla, circondato dai silos di Zingonia”, ricorda poi Osvaldo il suo arrivo in Italia, a Bergamo nel gennaio 2006. “Arrivato in camera – ha spiegato – ho iniziato a piangere. Fu dura. Non c’era un solo argentino, uno straccio di uruguaiano. Ero lontanissimo da casa, i compagni ridevano tra loro”.

“Parlavano una lingua che non capivo. Diventai un po’ paranoico – racconta Osvaldo – Pensavo ridessero di me. Poi andò meglio e mi integrai. Se non fossi diventato calciatore professionista? – continua Osvaldo – Oggi potrei dire il musicista rock o blues, o lo scrittore. Scrivere mi piace. Poesie e canzoni. Ieri rispondevo: ‘Voglio giocare a calcio’. Sguardi storti: ‘E se non arrivi?’. E io duro: ‘Non esiste. Io arrivo'”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata

Tag: