Ci sarà entro la fine del mese l’incontro decisivo tra Urbano Cairo e Sigfrido Ranucci per l’eventuale passaggio del conduttore di ‘Report’ e di un suo programma a La7. A quanto apprende LaPresse il patron di La7 ha più volte manifestato attestati di stima verso il conduttore.
Ranucci in Rai è uno dei pochi conduttori di programmi ancora interni all’azienda di Viale Mazzini dopo che anche Monica Maggioni ha deciso di uscire dall’organigramma. Ranucci approderebbe a La7 portando un programma di inchieste che non si potrà chiamare ‘Report’ perché la Rai ne è proprietaria, ma con una modifica del titolo. Tipo quanto fece a Mediaset Bianca Berlinguer che trasformò il suo ‘Cartabianca’ in ‘È sempre Cartabianca’. Chissà se Ranucci non pensi a un ‘È sempre Report’.
Sigfrido Ranucci e il caso Sangiuliano
Il 5 agosto scorso i componenti della Vigilanza Rai di Forza Italia, Maurizio Gasparri e Roberto Rosso, avevano rivelato la notizia che Sigfrido Ranucci era indagato dalla procura di Roma, insieme al giornalista Luca Bertazzosi, per possibili interferenze illecite nella vita privata per il caso Sangiuliano-Maria Rosaria Boccia: in particolare per la messa in onda dell’audio della telefonata tra l’ex ministro della Cultura e la moglie Federica Corsini, proprio nel corso di una puntata di Report. Messa in onda che Ranucci ha sempre difeso spiegando che si è trattato della “prova che Sangiuliano – ha replicato il conduttore – ha stoppato il contratto a Maria Rosaria Boccia perché chiesto perentoriamente dalla moglie, e non per presunti conflitti come dichiarato in un’intervista al Tg1”.
Floridia: “Ranucci via da viale Mazzini sarebbe segnale devastante”
“Se davvero la Rai dovesse perdere Sigfrido Ranucci, saremmo di fronte a un segnale devastante: lo smantellamento progressivo del servizio pubblico e l’appiattimento totale dell’informazione ai desiderata del governo Meloni. Sarebbe la conferma di una deriva in cui la professionalità e l’indipendenza viene sacrificata sull’altare del controllo politico. Non si può ignorare il clima soffocante in cui Ranucci e la sua redazione sono stati costretti a lavorare negli ultimi due anni: attacchi continui da ministri ed esponenti di governo, nessuna parola di difesa da parte dei vertici Rai, totale silenzio istituzionale di fronte alle pressioni. Addirittura, caso probabilmente unico al mondo, un intero partito come quello di Fratelli d’Italia ha querelato la trasmissione. Ma soprattutto in questi anni abbiamo dovuto assistere a uno stillicidio di azioni utili solo a mettere i bastoni tra le ruote a Ranucci e alla sua squadra: dalla riduzione del numero di puntate al taglio delle repliche, dai ritardi nell’emissione delle matricole alla controprogrammazione di chi cura i palinsesti, fino ad arrivare ai moniti disciplinari e alla questione della stabilizzazione dei precari che verranno mandati nelle sedi regionali svuotando proprio redazioni come quella di Report. Tutto questo, mentre il programma continuava a registrare ascolti altissimi, confermandosi non solo una punta di diamante del giornalismo di inchiesta Rai, ma uno dei riferimenti più autorevoli e credibili di tutto il panorama mediatico italiano. Se l’uscita di Ranucci dovesse davvero concretizzarsi, non sarebbe un episodio isolato, ma l’ennesimo tassello di un disegno chiaro: ridurre al minimo gli spazi critici, neutralizzare l’inchiesta, indebolire ogni voce indipendente. Ed è proprio per questo che l’eventuale addio di Ranucci dalla Rai non riguarderebbe solo lui o una trasmissione: riguarderebbe la qualità della nostra democrazia. Rivolgo un appello ai vertici Rai: facciano il possibile per scongiurare questa ipotesi”. Così la presidente della commissione di Vigilanza Rai Barbara Floridia.
La difesa dell’opposizione alla governance Rai
Il caso Ranucci scatena un tornado negli ambienti politici e in quelli della Rai. Questa volta però non riguarda una delle inchieste di ‘Report’ bensì la possibilità che il conduttore del programma di Rai3 e vicedirettore ad personam possa lasciare Viale Mazzini per approdare a La7. A quanto apprende LaPresse entro la fine del mese ci sarà l’incontro decisivo con Urbano Cairo. Il patron di La7 ha più volte manifestato gli attestati di stima verso il conduttore, non solo come scrittore da fare entrare nella casa editrice Solferino Libri ma anche come conduttore di un programma di inchieste. A La7 non confermano e in Rai sono alquanto scettici sull’esito della trattativa anche perché Ranucci potrebbe trovare qualche freno a mano tirato su inchieste che riguardano aziende che si pubblicizzano sulla concessionaria del gruppo Cairo.
Ranucci in Rai è uno dei pochi conduttori di programmi ancora interni all’azienda di Viale Mazzini dopo che anche Monica Maggioni ha deciso di uscire dall’organigramma. Vespa, Giletti e Sottile, tanto per fare qualche nome, sono tutti esterni. Qualora dovesse andare in porto la trattativa Ranucci approderebbe a La7 portando un programma di inchieste che però non si potrà chiamare ‘Report’ perché la Rai ne è proprietaria – come lo è di tutto l’archivio delle puntate – ma con una modifica nel titolo. Come fece a Mediaset Bianca Berlinguer che trasformò il suo ‘Cartabianca’ in ‘È sempre Cartabianca’. Chissà se Ranucci non pensi a un ‘È sempre Report’. La notizia pubblicata da LaPresse ha scatenato un ciclone. La presidente della Commissione di Vigilanza lancia l’allarme: “Se l’uscita di Ranucci dovesse davvero concretizzarsi, non sarebbe un episodio isolato, ma l’ennesimo tassello di un disegno chiaro: ridurre al minimo gli spazi critici, neutralizzare l’inchiesta, indebolire ogni voce indipendente”, dichiara Barbara Floridia aggiungendo che “l’uscita di Ranucci non riguarderebbe solo lui o una trasmissione: riguarderebbe la qualità della nostra democrazia”. Anche i consiglieri Alessandro di Majo, Roberto Natale e Davide Di Pietro sono scesi in campo in difesa di Ranucci e contro la sua fuoriuscita. Sicuramente il tema terrà banco nel CdA del 18 settembre. Ad affilare le armi anche alcuni politici dell’opposizione che da tempo definiscono la Rai ‘TeleMeloni’. Dal pd Ruotolo a Piccolotti (Avs), dalla Fnsi al cdr del Tg3. Un’ipotesi, quella di Ranucci a La7 che rischia di vedere una Rai “sempre più al seguito di quella parte di politica che vive il giornalismo di inchiesta come un intralcio”, dichiara il sindacato Usigrai.

