L'intervista di LaPresse a uno dei padri della musica rock 'made in Italy'
E' considerato uno dei padri della musica rock 'made in Italy', è stato definito il 'Pete Seeger' italiano, ha conosciuto i Beatles (che gli chiesero di aprire un loro concerto, ma lui rifiutò), ha lavorato con Adriano Celentano, è stato due volte al Festival di Sanremo… Ricky Gianco, al secolo Riccardo Sanna, è la persona giusta a cui chiedere di accompagnarci in un viaggio attraverso la musica, e non solo. Partendo da una domanda che riguarda alcuni cantanti di oggi, famosi da 'sempre', che sembrano non aver perso un briciolo della loro verve.
Ricky, a Sanremo hanno vinto gli Stadio, band che esiste da quasi 40 anni. Baglioni e Morandi riempiono gli stadi a ogni concerto, i concerti di Ornella Vanoni hanno registrato un tutto esaurito… La nostra musica più agée sta vivendo un momento 'revival'?
Io questo revival non lo vedo così evidente. Sanremo, poi, è un fatto a sé, ormai è come il Natale il 25 dicembre, la festa del primo maggio… Indipendentemente da chi vince, da chi ci va o non ci va, io non lo classificherei in questa tendenza. E' chiaro che in una situazione dove sei in bella mostra davanti al mondo, perché non c'è solo l'Italia che ti ascolta, se porti una cosa indovinata e fatta bene, poi hai successo, ma scomporrei il discorso.
Però se Ornella Vanoni a 81 anni fa ancora concerti da tutto esaurito…
Questo mi fa molto piacere perché Ornella è molto brava, matta ma simpatica. Io l'ho conosciuta a 17 anni, quando sono entrato alla Ricordi insieme al gruppo che c'era allora, Jannacci, Gaber, Umberto Bindi, Luigi Tenco, Sergio Endrigo, Gino Paoli… E Ornella era l'amante di Paoli. Io e Gino eravamo già da allora come fratelli, e lo siamo tuttora, e quando veniva a Milano mi invitava a 'reggere il moccolo'. Ornella era una donna fantastica, affascinante, molto femminile, purtroppo ultimamente ha combattuto un po' troppo con il chirurgo plastico, ma non è l'unica.
Cambiamo argomento. Cosa pensi dei talent show?
Non li guardo. Da un po' di tempo, non si faceva più musica in televisione. I programmi che si facevano prima, con gli ospiti che venivano a cantare, sono finiti e per questo sono nate nuove trasmissioni, come 'Amici', 'X Factor', etc. Sono programmi americani o anglosassoni che sono stati copiati: io ho visto un paio di versioni americane, ma lì è un altro discorso: non c'è bisogno di cercare gente che sia brava, ci sono montagne di cantanti o musicisti bravissimi. Il problema è che quelli che vengono fuori dai talent in poco tempo sono sulla bocca di tutti, ma la maggior parte di loro non ha né arte né parte. Molti, poi, sono di un'ignoranza spaventosa, anche sul piano musicale. I talent, per aiutarne uno, ne massacrano tanti.
Sei considerato il padre della musica rock italiana. Non è una definizione da poco. Che effetto ti fa?
Sono stato uno dei pochi che aveva l'età, la posizione e la voglia per capire cosa stava succedendo. Quando c'è stato il boom del rock and roll, io ero alla Ricordi e ci arrivavano i dischi dall'America, perché allora non c'erano le multinazionali, e io me li portavo a casa per ascoltarli.
Avevo bisogno di far parte di questa rivoluzione, perché essere ragazzi allora voleva dire non contare niente. Quando nasce un nuovo movimento culturale o artistico è perché c'è una situazione che fa sì che si sviluppi una certa cosa, non viene fuori il rock and roll perché uno si sveglia la mattina e decide di farlo.
Com'è messo il mercato discografico in Italia?
Con Internet ai giovani non interessa più dei dischi, scaricano tutto da Internet senza pagare, è un casino per la musica in generale. Il disco è morto già, la musica non è morta, esisterà sempre come l'anima delle persone, ma il modo di usarla e di viverla cambierà. Le persone hanno cominciato a farsi i dischi in casa, mentre una volta, se volevi usare un organo, non c'erano macchinette che riproducevano il suono, dovevi comprarne o affittarne uno vero. Stesso discorso vale, per esempio, con le fotografie e i filmini, che ormai le persone si fanno da soli: ci sono fior di professionisti fotografi che stanno chiudendo. Perché è così: il progresso va avanti, ma lascia sempre dietro di sé dei morti.
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