Il film, seconda opera da regista, nelle sale italiane da giovedì 25 febbraio

Negli strani mondi di Charlie Kaufman, può anche capitare che la storia più disturbante, perché più vera, sia quella apparentemente assurda che ha per protagonista un pupazzo, in un mondo di pupazzi. Succede con ‘Anomalisa’, nelle sale italiane da giovedì 25 febbraio, seconda opera da regista – questa volta in collaborazione con Duke Johnson – dell’autore statunitense, alla cui penna si devono altri lavori belli e inclassificabili come ‘Essere John Malkovich’, ‘Il ladro di orchidee’, ‘Se mi lasci ti cancello’ (titolo che, nella versione italiana, suona sempre come una pugnalata al cuore e al buonsenso) e ‘Synecdoche, New York’.

 

La forma, prima di tutto: impossibile, quando si prova a raccontare ‘Anomalisa’, non partire dalle scelte spiazzanti che sono state fatte a livello produttivo. Una stop motion per molti versi iperrealistica, realizzata a partire da personaggi modellati attraverso la stampa 3D, dove però il trucco è sempre ben visibile, nei volti chiaramente artificiali dei protagonisti. Un’idea così fuori dagli schemi canonici hollydoodiani da aver richiesto un finanziamento su Kickstarter (Kaufman, che è anche produttore, doveva avere ben chiaro che nessun collega si sarebbe preso il rischio di finanziare un progetto del genere), ma al tempo stesso assolutamente funzionale alla messa in scena.

 

La storia, nata a partire da una sceneggiatura solo sonora scritta per il compositore Carter Burwell, è quella di Michael Stone, uno scrittore di libri motivazionali, tormentato dal fatto di sentire sempre la stessa voce, chiunque sia a parlare. Una sorta di maledizione spezzata solo dall’incontro con Lisa, l’anomalia appunto, in un hotel di Cincinnati. Se il lavoro sulle voci è ovviamente centrale – nell’edizione originale tutti i personaggi, tranne Michael e Lisa, sono doppiati da Tom Noonan -, l’utilizzo dell’animazione non solo si mette al servizio dell’idea, ma aggiunge addirittura un livello in più: quello visivo, giocato sull’uniformità o difformità dei volti, che segue di pari passo l’aspetto sonoro. Alla guida di una macchina così ben costruita, Kaufman non fa poi che metterci il suo, alternando picchi surrealismo e passaggi da incubo a quello che è il mortificante orrore della normalità, delle chiacchiere imbarazzate, delle sigarette accese per ingannare il tempo in una camera d’albergo. Fino al culmine di una scena di sesso che mette quasi in difficoltà, per quanto è vera. E qui sta il paradosso, ma anche l’efficacia di un film in cui – proprio perché non ci sono persone in carne e ossa – diventa facilissimo immedesimarsi, quasi come in un gioco di bambole in cui nei pupazzi finiamo per mettere noi stessi.

Per la cronaca: come prevedibile, ‘Anomalisa’ ha finora riscosso molto più successo di critica che non di pubblico. A incassi per il momento ben inferiori al budget iniziale, si sono infatti accompagnati un Gran Premio della Giuria a Venezia, punteggi altissimi sui siti specializzati (su Rotten Tomatoes il voto medio è 8,4) e nomination ai Golden Globe e agli Oscar (dove il lungometraggio correrà nella categoria riservata all’animazione). Il che è un po’ un peccato. Ma, in fondo, un’opera del genere, così fuori dalla portata di qualunque radar, ha tutto il tempo per imporsi anche al di fuori dei circuiti più tradizionali e dei botteghini.  

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