Torino, 27 nov. (LaPresse) – “Non è che io faccia film su un tema, come il tema del lavoro cerco di raccontare delle persone. I miei film parlano della contemporaneità: non sono mai stata capace di fare film in costume perché la mia curiosità sono le vite degli altri, cerco di capirle, in particolare da un punto di vista femminile, e mi è sempre sembrato che il lavoro fosse una chiave di comprensione della vita delle persone. I cambiamenti del lavoro, il modo in cui si lavora o no, il rapporto che si ha col proprio lavoro, sono uno dei modi possibili di raccontare gli esseri umani”. Così Francesca Comencini, che oggi riceve il premio Cipputi alla carriera al 33esimo Torino Film Festival.

“Il primo è stato ‘Mi piace lavorare (Mobbing)’ – ha raccontato Comencini in conferenza stampa – che è partito dall’idea di raccontare il rovescio di una madre lavoratrice. Si parte sempre da un’idea personale, intima ed emotiva di sentire dei temi in maniera empatica”. Per Comencini “in quanto donna e madre”, è stata una molla importante nella sua filmografia proprio “il grande tema che secondo me è ancora del tutto irrisolto del lavoro delle donne e delle madri, e delle forme che ha preso il lavoro, dove le donne e la loro differenza non sono contemplate”.

Impiegare una “narrazione da un punto di vista femminile non vuol dire per forza raccontare solo personaggi femminili” ha detto la regista: “Però il cinema mondiale e italiano è molto indietro – ha sottolineato Comencini – i personaggi femminili sono pochi, le donne sono spesso delle funzioni che servono ad amplificare o far funzionare dei personaggi maschili o delle relazioni maschili, le registe donne sono poche”. Da questo deriva “un desiderio, almeno in me che sono una regista donna, di raccontare l’aspetto femminile, che è ancora abbastanza inesplorato”. Tra i temi che meritano approfondimento per la regista anche “quello dalla maternità è ancora non abbastanza raccontato dalle donne stesse. La maternità attuata, ma anche la possibilità di essere madri che le donne portano con loro anche se scelgono di non essere madri, è una forma che ha molto da dire oggi”.

Comencini ha quindi spiegato il legame tra ‘Mi piace lavorare (Mobbing)’ del 2004 e ‘In Fabbrica’ del 2007. “Mi piace lavorare – Mobbing” racconta un aspetto del lavoro quando la grande avventura dell’industrializzazione e un tipo di coscienza collettiva del lavoro di fabbrica produceva si era un po’ schiantato, insieme a un’identità – ha aggiunto Comencini – ‘In fabbrica’ invece era un modo di andare all’origine”.

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