di Alessandro Di Liegro
Torino, 28 lug. (LaPresse) – Gastone Moschin è l’ultimo di quegli ‘Amici Miei’ che quarant’anni fa debuttavano sul grande schermo. La combriccola dedita alle ‘bischerate’ capitanata dal conte Raffaello Mascetti, intepretato da Ugo Tognazzi, insieme a ‘il Necchi’ (Duilio Del Prete), ‘il Melandri’ (Gastone Moschin), ‘il Perozzi’ (Philippe Noiret) e ‘il Sassaroli’ (Adolfo Celi). A cent’anni dalla nascita di Mario Monicelli, la dissacrante goliardia dei personaggi dipinti dalla penna di Pietro Germi è diventata un cult celebrato e riconosciuto anche dalle giovani generazioni.
Giovedì 30 luglio in Piazza Santo Spirito a Firenze si festeggerà il centenario della nascita del maestro Mario Monicelli (16 maggio) e i 40 anni dell’uscita del film ‘Amici Miei’, in cui Gastone Moschin è Rambaldo Melandri, un architetto dall’innamoramento facile, per questo motivo preso in giro dai suoi compagni d’avventura, che arriva sul punto di lasciarli più volte: “Ma poi ritornava nel solito gruppo a frequentare i soliti viziacci” dice Moschin.
A quarant’anni dal primo episodio di ‘Amici Miei’ qual è il suo ricordo di Mario Monicelli e del cast?
“Mario era una persona schiva, non era un piacione, era una persona seria. Ora si è perso il significato di cosa vuol dire essere una persona seria. Era un uomo autentico, vero, un socialista come pochi. Con il cast c’era un rapporto di lavoro cordiale, anche grazie alla conduzione e alla direzione di quel grande regista che era Monicelli che non dava spazio a pettegolezzi. C’era un ordine e un modo di recitare particolare: non guardava all’intonazione, quanto ai tempi. Se una scena doveva durare tre minuti Monicelli diceva ‘No, deve durare la metà’. I tempi, i tempi (sospira), era un maestro nei tempi.
C’era qualcosa di voi attori all’interno del film?
“No, proprio no. Era pensato da grandi menti come Germi e Monicelli. In particolare era Germi che voleva lasciare un ricordo delle persone che aveva conosciuto. Il titolo è proprio da riferisi all’addio del cinema di Germi: ‘Amici miei, ci vedremo. Io me ne vado’. C’erano interpreti diversi, poi si è arrivati all’edizione cinematografica che conosciamo”.
Il film è entrato a far parte del costume italiano: per esempio oggi il governatore della Liguria Giovanni Toti ha detto che sulla salute il ministro Lorenzin ha detto una ‘supercazzola’.
(Ride) “Erano dei giochi di parole che faceva Tognazzi. Non sono eredità, piuttosto erano battute inventate per far divertire la gente. È stato molto amato perché era presentato come fossero tranche de vie, invece era tutto costruito dagli sceneggiatori. Ma era così vero che a volte anche noi ci cascavamo. C’è un piccolo episodio: dovevamo tornare a casa e c’era una giostra dove ci siamo fermati. Anche lì era tutta sceneggiatura, ma abbiamo trascorso una giornata simpatica. Eravamo insieme e a un certo punto iniziano i pensieri del giorno dopo: il professore doveva operare, quell’altro che doveva vendere le enciclopedie. Ma…”
(si ferma nel racconto come per riassemblare i ricordi) “Questa giostra, non so, ci aveva toccati, nel senso che avevamo vissuto una bella giornata e commentavamo il giorno dopo come se fosse vita vera. Erano queste le cose magiche di Monicelli. Sapeva cogliere il momento anche degli attori. Non era un rompipalle di regista, tutt’altro”.
Nel 1977 Nanni Moretti accusava Monicelli di essere ‘vecchio’.
(ride di gusto) “Monicelli vecchio? Non ha nemmeno voluto affrontare la vecchiaia triste e sconsolata. L’ha evitata con coraggio”.
Ci sono delle analogie fra il Paese di allora e quello di oggi?
“Questo è un Paese in disarmo, non si sa come, quando, se si riprenderà. Monicelli era molto pessimista su tutto, credeva in alcune cose così come seguiva le vicende politiche. Lo faceva seriamente, non era un parolaio. Era un uomo vero. Ora ci sono misere imitazioni di uno spirito ormai inarrivabile”.
Ha l’impressione che si sia persa quella goliardia che caratterizzava lo stile di ‘Amici miei’? Quel modo di dissacrare la realtà per renderla sostenibile?
“Dice bene, nel film ci si chiudeva nella goliardia per non affrontare i problemi, su cui non si andava a fondo e restavano solo volgari imitazioni”.
Cosa pensa di quest’ultima nidiata di registi italiani che fanno incetta di premi all’estero? Può esserci un nuovo Monicelli?
“Magari ne salterà fuori qualcuno, forse c’è già chi ne raccoglierà l’eredità. Bisogna far maturare le nespole”.
E un nuovo Gastone Moschin?
“Per carità… Non credo. Siamo tutti irripetibili nelle nostre piccolezze, nelle nostre misere umanità. Siamo irripetibili”.
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