Stefano Andreotti racconta il padre a dieci anni dalla morte

“Era un appassionato di ippica, e quando poteva scappava a Tor di Valle per vedere le corse. Scommetteva, anche se poco. Aveva la rivista ‘Il Cavallo‘ dentro la mazzetta dei giornali, come Adolfo Celi in Febbre da Cavallo”. Stefano Andreotti, figlio del più famoso Giulio racconta il padre a dieci anni di distanza dalla sua morte. Una testimonianza appassionata che parte dai ricordi di famiglia e prosegue con quelli del lavoro, passando per il dolore delle incriminazioni per mafia fino ad arrivare a quella che è stata la sua ferita più grande: l’accusa di non aver fatto abbastanza per salvare Aldo Moro“. “Si chiuse in casa per un anno prima di ricominciare a vivere”, spiega Stefano Andreotti che poi aggiunge: “Una cosa che ricordo con grande piacere e che non ho mai raccontato di mio padre era che quando tornava da lavoro si metteva a giocare con me a pallone sul corridoio di casa, assecondava la mia passione per il calcio mi portava allo stadio anche se io ero della Lazio”.

Essere figlio di Giulio Andreotti non deve essere stato facile ma per Stefano tutto scorreva normale: “eravamo una famiglia normalissima, nonostante il periodo, gli anni di piombo, io avevo amici di ogni tipo. Mio padre si vantava di avere una famiglia ‘sanamente normale’. Tutto era delegato a mia madre ma era comunque un padre presente. Io personalmente non ho mai avuto la scorta, forse eravamo incoscienti ma non ne sentivamo il bisogno. Abbiamo avuto minacce, il brigatista Franceschini ha anche raccontato che c’era un progetto di rapire uno dei figli di Andreotti ma non abbiamo mai avuto problemi, uscivamo tranquillamente” . “Mio padre ha avuto tanti amici e tanti nemici – prosegue Stefano – ma diceva sempre che i tradimenti più grandi li ha avuti proprio dal suo partito. Aveva un ottimo rapporto con Cossiga mentre quello con cui non andava proprio d’accordo era Fanfani. Oggi non vedo nessuno che possa in qualche modo ricordarlo. Odiava la politica urlata e l’incompetenza di quella che poi è stata chiamata la seconda Repubblica. Se fosse vivo oggi la sua maggiore preoccupazione sarebbe stata la guerra in Ucraina e il fatto. che a distanza di un anno ancora non si sia trovata una via di uscita”.

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