Alla fine non c'è stato nessun terremoto e, presumibilmente, nessuno ci sarà nelle settimane a venire. Il governo giallorosso potrà andare avanti con le sue croniche debolezze, il premier Giuseppe Conte sarà nella condizione di concentrarsi sulla distribuzione dei miliardi del Recovery Fund, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non sarà forzatamente chiamato in causa per mettere mano a una situazione divenuta esplosiva, il segretario Pd Nicola Zingaretti non verrà defenestrato causa Caporetto, il tridente destrorso Salvini-Meloni-Berlusconi brinderà al successo nelle Marche ma rifletterà sulla delusione rimediata in Toscana e Puglia, Matteo Renzi si godrà l'inaspettata valenza della sua Italia Viva. L'ultima tornata elettorale doveva spostare le montagne e invece ha partorito il famoso topolino.
Il sì al referendum era scontato, una boccata d'ossigeno per il Movimento Cinque Stelle che, però, resta dilaniato al suo interno. E, di sicuro, la condanna della sindaca di Torino, Chiara Appendino, non aiuta a definire i contorni del futuro. La vittoria del sì, comunque, ha molti padri: non solo i grillini, anche i Dem – una scelta quasi dilaniante – e la Lega. Al taglio dei parlamentari dovrà necessariamente seguire un cantiere di riforme serio e non viziato da interessi di bottega: a naso si profila un autunno caldissimo e un inverno rovente. Non sarà questione di risparmi (ininfluenti sul bilancio statale) ma di rappresentatività dei cittadini in un parlamento pressoché dimezzato. Con l'aria che tira, trovare un punto di comune interesse istituzionale non sarà facile, i proclami volano, i costituzionalisti tremano.
La vittoria schiacciante di Luca Zaia, Giovanni Toti e Vicenzo De Luca ripropone il tema delle figure forti di governatori ai quali comincia a stare stretta la dimensione regionale. Non a caso, nella gestione del lockdown, e soprattutto del 'post', hanno molto inciso con le loro decisioni. Basti pensare ad Alberto Cirio, il presidente del Piemonte, che sulla scuola ha avuto la meglio nella personalissima battaglia con la ministra Azzolina e, per estensione del concetto, con il Governo. Il suffragio universale di Zaia in Veneto potrebbe avere ripercussioni per la stabilità interna alla Lega, così come la vittoria schiacciante di De Luca in Campania.
Prendendo a prestito il linguaggio calcistico, è finita pari, un 3-3 dignitosissimo per il centrosinistra e abbastanza deludente per il centrodestra. La Toscana è rimasta rossa, la Puglia anche: era lì che Salvini e Meloni pensavano di prendere a spallate la storia. Si devono accontentare delle Marche, sfilate al nemico. Troppo poco per cantare vittoria e chiedere al Colle una rivisitazione degli equilibri politici nazionali.
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