Di Jan Pellissier
Torino, 8 lug. (LaPresse) – Il Piemonte rischia di diventare la Grecia d’Italia. Il passivo dell’ente guidato da un anno da Sergio Chiamparino, supera infatti tra disavanzi, crediti deteriorati e indebitamento gli 11 miliardi. Cifre da default, con interessi giornalieri pari a 1,23 milioni di euro, sabati festivi e domeniche comprese. Totale annuo di 450 milioni. Se ciò non bastasse, domani il Tar potrebbe annullare le ultime elezioni, in virtù di 329 firme false tra quelle presentate per la convalida del cosiddetto ‘listino’ del presidente. Tra i 10 candidati di quel listino, che è di fatto il premio di maggioranza del sistema elettorale piemontese, c’era anche Chiamparino, che quindi decadrebbe da consigliere se il Tar accogliesse il ricorso presentato da Patrizia Borgarello. Si tratta di un’ex consigliera provinciale della Lega Nord, che si è rivolta al tribunale amministrativo, evidenziando irregolarità su parte delle 2.292 firme raccolte a sostegno del listino. Stornando le 329 presunte irregolari, però si rimarrebbe sopra la soglia minima necessaria di 1.750 firme, sostiene la difesa di Chiamparino. Borgarello punta a portare la vicenda in sede civile, aprendo un procedimento ordinario per falso, allungando all’infinito i tempi, e l’instabilità del bilancio. “Obiettivamente ci sono stati dei vizi nella fase di raccolta delle firme” ammette il segretario regionale del Pd, Davide Gariglio, parlando con LaPresse alla vigilia dell’udienza.
“C’è grande incertezza – aggiunge – perché c’è sempre un margine di interpretazione su queste norme, ma noi abbiamo fiducia e rispetto dei magistrati, non abbiamo gridato al complotto. Per sopravvivere nella gestione del potere, non la tireremo per le lunghe. Se il Tar accoglierà la domanda dei ricorrenti, non aspetteremo, e anticipiamo il voto”. Si andrebbe a quel punto verso un Chiamparino bis, ma con la forte incognita grillina a pesare sull’esito del voto, dopo il caso Cota il nuovo ‘firme-gate’ di Chiamparino ha messo il vento in poppa al Movimento 5 Stelle, che già nel 2010 entrò in consiglio regionale forte dell’appoggio ai ‘No Tav’. In tutto quindi ci sono potenzialmente 3 o 4 contendenti sopra il 10%, e stando così le cose, la vittoria è possibile anche solo superando di poco il 30% dei consensi, come accaduto a Giovanni Toti in Liguria. Con una differenza fondamentale: i debiti e il rischio default. La giunta Chiamparino ha avviato un’operazione trasparenza nei bilanci, aiutata dalla Corte dei Conti. Il 2014 si è chiuso così con disavanzo di 1.264 milioni di euro: 3,4 milioni al giorno. Una cifra insostenibile, che è in larga parte dovuta alla revisione del bilancio del 2013.
Quello fu l’ultimo bilancio chiuso dalla giunta di Roberto Cota, il consiglio approvò un disavanzo di 365 milioni. La Corte dei Conti ha invece scoperto che il passivo fu di 2,66 miliardi. Tra le tante spese sbianchettate anche 900 milioni per la sanità che si potevano non conteggiare più dopo due anni. La ‘spending review’ di Chiamparino, e del suo assessore ai bilancio Aldo Reschigna, ha portato poi all’amara sorpresa di 1,3 miliardi di crediti deteriorati, ovvero diventati inesigibili perché affondano anche a 4 amministrazioni e 15 anni fa. Sfruttando invece poi la legge 35 del 2013 per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, sono stati accesi nuovi mutui per 1,7 miliardi legati alle spese della sanità e altre spese. In tutto così l’indebitamento della Regione Piemonte arriva a 9 miliardi. Sei mesi di campagna elettorale, potrebbero far saltare il tappo. “Può succedere di tutto” è il mantra più ripetuto a Piazza Castello. Dietro a quelle 329 firme ‘tarocche’ si gioca quindi il futuro anche economico di una regione che la crisi la sente ancora bene. L’udienza al Tar è convocata domani alle 11.30, sentenza forse già in giornata, o al massimo venerdì mattina, difficile un rinvio. Chiamparino è atteso a Torino in serata, di rientro da una riunione con gli altri presidenti di regione convocati dal presidente Mattarella al Quirinale.
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