Di Nadia Pietrafitta
Roma, 20 ott. (LaPresse) – Nessuna espulsione perché il Pd non è il M5S (“imbarazzanti” le ultime nomination decise da Beppe Grillo), ma la consapevolezza di non far parte nemmeno di “un club di anarchici o di filosofi”. Matteo Renzi sceglie la linea soft dopo le defezioni di alcuni senatori dem sul Jobs act, decide di “non arrivare a conclusioni” sulla forma partito, ma non rinuncia a dettare la rotta.
“Penso che si debba lasciare ai gruppi la libertà dei voti di coscienza non solo su temi eticamente sensibili, rispetto chi ha votato contro la riforma costituzionale e nessuno di noi espellerà un senatore che ha fatto una battaglia seria rigorosa e trasparente sulle riforme”, ma – è la sottolineatura – “penso che dobbiamo darci delle regole sul voto di fiducia”.
Nessuna drammatizzazione va fatta nemmeno sul fronte tesseramenti. “Ho sbagliato”, ammette il segretario Pd, a sottovalutare un tema che “indipendentemente dal numero necessita di una riflessione più approfondita”, ma che non va ridotto “a battute macchiettistiche tra di noi”. Matteo Renzi chiama ancora una volta alla responsabilità il Pd. E’ stata “la settimana della piazza”, ricorda. La Lega e Casa Pound a Milano contro l’immigrazione che tentano “di dare radici culturali a una destra europea anche in Italia”, la Fiom a Torino, gli operai dell’Ast a Terni. Tante, le sfide che attendono il governo e il partito. “Se non ci siamo noi – scandisce – l’alternativa è la piazza talvolta xenofoba. Se non ci siamo noi c’è la vittoria di un fenomeno demagogico e populista che rischia di incrinare le regole del gioco. Questa comunità che ha preso il 41% oggi è l’unica speranza perché l’Italia esca dalla palude”. Per far questo, è l’indicazione del segretario, il Pd deve allargarsi, “diventare un partito della nazione” che vada dall’esperienza di Led di Gennaro Migliore fino ad Andrea Romano e a quella parte di Scelta civica o Italia Popolare che vuole stare a sinistra, perché si arrivi a un “partito maggioritario”.
Non una parola arriva da Renzi, invece, sulla Leopolda. Sono allora i componenti della minoranza dem a mettere sul tavolo i problemi legati alla convention renziana in programma a Firenze per il prossimo week end. “Matteo sei il segretario del nostro partito e il capo del nostro Governo. Io te lo chiedo qui Che cos’è la Leopolda?”, lo incalza Gianni Cuperlo. “Io so che le correnti dominano la vita interna del partito da quando è nato e non farò un appello a non organizzare una parte, ma dico – aggiunge – che se tu che sei il segretario costruisci e rafforzi un partito parallelo dotato di idee risorse e persone” non andremo “verso un partito dell’unità ma forse verso ciò che già siamo: una confederazione”. La risposta del premier non si fa attendere: “Sta Leopolda..ragazzi..veniteci. Non sabato, che ho capito che avete altro da fare” replica scherzando ma non troppo, e facendo riferimento a chi, proprio come Cuperlo, sabato sarà in piazza a Roma con la Cgil. “Questa drammatizzazione della Leopolda è stata non dico un autogol, non mi permetterei, ma avete perso di visto quello che è – sottolinea – una vecchia stazione ferroviaria nel cuore di Firenze, dove ci sono persone che parlano di politica”. Non ci sarà, è la promessa di Renzi, “mai e poi mai un’organizzazione parallela sul territorio”, perché “se qualcuno pensa a una corrente dei renziani il primo che è contro sono io. Il primo che lo dice è da farsi vedere da uno bravo”. Il segretario del Pd chiede che ci sia più rispetto tra le varie anime del partito, perché “così come non ci sono i Flinstones contro gli innovatori non ci sono usurpatori contro legittimi detentori”. Di più. Così come “non sarà un atto di lesa maestà” se qualcuno sabato sarà a Roma invece che a Firenze, bisogna smettere di dire e credere che la Leopolda è contro il Pd.
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