Palermo, 17 ott. (LaPresse) – “Non ho di che pentirmi perchè non ho mai avuto la volontà di favorire la mafia, tutt’altro”. Lo dice l’ex presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro, in un’intervista rilasciata al mensile ‘S’, le cui anticipazioni sono state pubblicate dal sito Livesicilia. Cuffaro sta scontando una condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. “I miei atti di governo parlano per me – sostiene -. C’è una sentenza che io rispetto, anche se non la condivido. Mi pento di tante altre cose, ma non di aver favorito al mafia per il semplice fatto che non l’ho mai favorita”. Cuffaro però ammette: “Se tornassi indietro sarei molto più attento e più rigido nei rapporti e nelle frequentazioni. Io sono andato a sbattere contro la mafia – prosegue l’ex governatore della Sicilia -, senza che in qualche modo immaginassi che questo potesse succedere”.
Poi, sul recente pronunciamento della Cassazione che gli ha negato l’affidamento ai servizi sociali: “Mi sono imposto di essere un detenuto uguale agli altri, ma devo dire che così non sono stato trattato dalla giustizia. La mia richiesta di affidamento ai servizi sociali, seppur abbia ricevuto i pareri favorevoli dalla polizia dalla questura, dalla prefettura e dai carabinieri, non è stata accolta dal tribunale perché ha ritenuto che ci fossero ancora dei margini di collaborazione”.
Cuffaro è stato condannato nel processo sulle talpe alla Dda di Palermo per le sue rivelazioni riguardanti le indagini nei confronti del boss Guttadauro: “Il tribunale ritiene che tutta la catena di ‘disvelamento’ di quei segreti non sia stata ancora chiarita, ma tutti i presenti in quella catena sono stati condannati – sostiene Cuffaro – e c’è chi ha ottenuto, giustamente, l’affidamento ai servizi sociali come Miceli (ex assessore del Comune di Palermo imputato nello stesso processo, ndr). Lo stesso tribunale che a me ha negato i servizi sociali li ha concessi a Miceli dicendo che la catena era chiara. In questo non sono stato un detenuto uguale agli altri, ma lo accetto”.
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