Dalla nostra inviata Nadia Pietrafitta
Bruxelles (Belgio), 21 mar. (LaPresse) – “Quanti giornalisti! Mai potremmo dire che sono troppi ma potremmo proporre a Cottarelli una spending review delle troupes”. Matteo Renzi si presenta così, consegnando la giacca a un assistente e recandosi in maniche di camicia verso il podio della presidenza del Consiglio fatto mettere al posto di un vecchio tavolo, all’incontro con la stampa al termine del suo primo Consiglio europeo. “Sto scherzando, mica è un attacco alla libertà di espressione”, corregge il tiro subito dopo, dando inizio al suo report dei lavori. Il premier è soddisfatto. Rilancia la “scommessa europea” che l’Italia deve vincere approfittando dall’occasione di presidenza del semestre Ue e, come ormai d’abitudine, detta l’agenda. Riforme, lavoro (con un vertice che Renzi vuole a Torino) agenda digitale (l’incontro in questo caso è già in programma a Venezia), innovazione, energia, ambiente. Questi i temi che Roma dovrà portare all’attenzione dei grandi del Vecchio continente durante la sua guida e rendere “scoppiettanti”.
Ecco perché non sono piaciute a Renzi le ricostruzioni stampa che hanno raccontato le tensioni e i sorrisi tra i presidenti della Commissione e del Consiglio europeo a proposito delle proposte avanzate dall’Italia sul deficit. “Ho letto delle polemiche sui sorrisi tra Barroso e Van Rompuy che riaprono per noi una ferita aperta” ammette, “ma sono per noi ricostruzioni lontane dalle realtà”. Se loro sono contenti, aggiunge, “io sono contento per loro e con loro”, ma “il mio obiettivo è far sorridere le famiglie italiane”. Di più. L’atteggiamento dell’Italia, ribadisce, non sarà “mai supino e subalterno” anche perché non va in Europa a fare “la cicala che scialacqua” ma da contributore di primo ordine, che rispetta e rispetterà tutti gli impegni presi.
“Il Fiscal compact – è l’inciso – è un impegno che il nostro Paese ha preso e come tutte le regole e i paletti che ci siamo dati confermiamo l’impegno”. L’Europa, insiste Renzi, non è solo il passato ma è il nostro futuro e “se è vero che l’Italia oggi paga alcuni debiti del passato, è altrettanto vero che il nostro governo deve pagare gli investimenti per il futuro”. Roma, è il mantra renziano, per tornare a crescere deve tornare ad essere credibile. Ecco perché “il punto centrale” sono le riforme e “i tempi” in cui queste verranno attuate. La dead line che il premier si dà è il 1 luglio. Il giorno dopo, dice ai cronisti, “saremo a Strasburgo e potrete giudicare il nostro lavoro”. Quanto alle risorse, molto è in capo alla spending review di Carlo Cottarelli. È solo “un punto di partenza” e in alcuni settori può essere fatto di più, ma “il contributo non può essere chiesto a chi prende 2mila euro al mese di pensione. Non ci saranno interventi a pioggia”, assicura. Quello che ci sarà, conferma, è il taglio agli stipendi dei manager pubblici. “Sono convinto – azzarda – che quando Mauro Moretti (ad di Trenitalia che ha criticato questa misura, ndr) vedrà la ratio dell’intervento sarà d’accordo con me”. Cambiare verso, questo l’imperativo. “Per una volta inizino a riscuotere i cittadini che hanno pagato la crisi per colpa di una politica miope e lontana dai loro bisogni e a pagare quelli che non hanno mai pagato”, spiega.
L’a.d. di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, aveva detto a margine di un evento a Bologna di non condividere il taglio alle retribuzioni dei manager pubblici. Per Moretti “dobbiamo porci il problema di retribuire” i manager “in una logica europea” e “non dico alla tedesca e nemmeno all’italiana, un minimo per poter far sì di non correre il rischio di perdere i manager bravi”. Sulle retribuzione, sostiene Moretti, “ci sono forse dei casi da dover rivedere, a la logica secondo cui uno che gestisce un’impresa deve stare sotto il presidente della Repubblica è sbagliata. Sia negli Stati Uniti, che in Germania, che in Francia, che in Italia, il presidente della Repubblica prende molto, molto meno, di quello che prendono manager d’impresa. Vi ho detto che il mio collega tedesco prende 3 milioni, tre volte e mezzo quello che prendo io, andatevi a vedere lo stipendio della Merkel”. “Queste sono dinamiche diverse, una cosa è stare sul mercato altra cosa è fare una scelta politica”, conclude l’amministratore delegato.
Dopo aver “approfittato” delle istituzioni Ue per rassicurare compagni e avversari che il suo nome non sarà all’interno del simbolo del Pd alle prossime elezioni europee, Renzi lascia il centro Justus Lipsius. Non prima, però, di concedersi qualche battuta sull’eliminazione della sua Fiorentina per opera della Juventus. “Purtroppo c’era la cena sull’Ucraina ed eravamo schermati – scherza – La punizione calciata da Pirlo, c’era?”.
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