Roma, 27 gen. (LaPresse) – E’ finita con un’assoluzione e un proscioglimento per intervenuta prescrizione una delle vicende giudiziarie andate maggiormente alla ribalta mediatica. Era il 29 agosto del 2011 quando l’ex ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola viene iscritto nel registro degli indagati per violazione della legge sul finanziamento illecito ai partiti. Prima che venisse formalmente coivolto nella vicenda, si difese dicendo che quella casa in via Fagutale, a Roma, con vista Colosseo “era stata pagata da altri a sua insaputa”. Secondo l’accusa, l’imprenditore Diego Anemone, uno dei personaggi chiave dell’inchiesta perugina sul G8 di cui quella sulla casa di Scajola costituisce un filone girato a Roma per competenza territoriale, avrebbe pagato, tramite l’architetto Angelo Zampolini, parte (circa 900mila euro su 1,7 milioni) della somma versata il 6 luglio 2004 dall’ex ministro per acquistare l’immobile. In base a quanto aveva ricostruito la guardia di finanza e i carabinieri del Ros, i soldi sarebbero stati fatti arrivare da Anemone alle sorelle Barbara e Beatrice Papa, proprietarie della casa in via del Fagutale, tramite Zampolini, che avrebbe consegnato 80 assegni circolari della Deutsche Bank. sostenendo di essere stato all’oscuro del pagamento. Ufficialmente l’abitazione era stata pagata 610mila euro dall’esponente del Pdl che, a tal fine, ha acceso un mutuo di circa 600mila euro. Secondo l’accusa, Anemone, attraverso tre ditte a lui riconducibili, avrebbe anche pagato e realizzato i lavori di ristrutturazione dell’immobile, terminati nel 2006. I pm Ilaria Calò e Roberto Felici aveva chiesto tre anni di condanna sia per Scajola che per Anemone e il pagamento di una maxi multa di due milioni di euro. La difesa confutò la ricostruzione dei pubblici ministeri affermando in aula che “le prove documentali e testimoniali emerse durante il processo hanno rivelato la superficialità e l’inesattezza delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza”.
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