Roma, 21 dic. (LaPresse) – “Cucirsi la bocca non è una protesta così rara come si penserebbe. In carcere è un’azione attuata addirittura con una certa frequenza”. Lo spiega a LaPresse il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani di palazzo Madama. “Ha un significato simbolico – continua – fortissimo e insieme terribile, molto intenso e crudele: dal momento che non possono parlare, chiudono le proprie labbra.

Lo dico non per fare letteratura ma perché si tratta di un gesto che si ripete con una certa frequenza. Succede decine di volte, anche non se ne ha notizia. Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria li chiama ‘eventi critici’, voce sotto la quale rientrano anche le aggressioni e tutti i casi di autolesionismo”. “Molti poi – continua – si tagliano coprendo il proprio corpo di ferite, presentandosi a petto nudo e sanguinante. Non avendo forme di comunicazione né di rappresentanza parlano attraverso il proprio corpo”.

“Il Cie di Ponte Galeria? E’ un Cie come gli altri – prosegue -. Ci sono dentro persone che non sanno perché sono lì, né quanto tempo ci rimarranno e non sanno dove andranno dopo. Nel 1999 i Cie prevedevano un tetto di permanenza di 30 giorni, oggi è di 18 mesi. Si tratta di luoghi che non rispondono al fine per il quale sono stati creati. Le percentuali di espulsioni sono basse. Il trattenimento nel Cie non dovrebbe essere una pena ma uno strumento”.

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