Roma, 15 ott. (LaPresse) – “I fatti di questi giorni mi hanno profondamente amareggiato personalmente, ma in via principale, per la consapevolezza, che la loro malevola interpretazione sta cercando di spostare sulla Sua figura e sul Suo altissimo ruolo istituzionale, condotte che soltanto a me sono riferibili”. Così Loris D’Ambrosio, consigliere di Giorgio Napolitano, scriveva al presidente della Repubblica in merito alla vicenda delle intercettazioni al Quirinale nell’ambito dell’indagine sulla presunta trattativa Stato-miafa. La lettera del 18 giugno scorso è stata resa nota sul sito del Quirinale e sarà contenuta nel libro di Napolitano dal titolo ‘Sulla Giustizia’ editato dalla Zecca. “Non mi è difficile immaginare che i prossimi tempi vedranno spuntare accuse ancora più aspre che cercheranno di colpime me per colpire Lei” aggiunge D’Ambrosio, che sarabbe poi morto il 26 luglio, “tutto ciò è inaccettabilemnte calunnioso”.

“Come il procuratore di Palermo ha già dichiarato e come sanno anche tutte le autorità giudiziarie a qualsiasi titolo coinvolte, nella gestione e nel coordinamento dei vari procedimenti – aggiunge D’Ambrosio – sulle stragi di mafia del 1992 e del 1993, non ho mai esercitato pressioni o ingerenze, che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello Stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze”. D’Ambrosio ammette l’esistenza di “criticità e e contrasti” anche gravi, ma a tutto ciò seguono effetti perversi. “E’ così accaduto che qualche politico o qualche giornalista sia arrivato ad accostare o inserire chi – prosegue D’Ambrosio – come me, non accetta schemi o teoremi prestabiliti all’interno di quella zona grigia, che fa di tutto per impedire che si raggiungano le verità scomode del terzo livello o, per dirla con altre parole, è partecipe, di un ‘patto col diavolo’ non sta dalla parte degli italiani onesti ed è disponibile a fare di tutto per ostacolare un pugno di ‘pubblici ministeri che cercano la verità sul più turpe affare di Stato della seconda Repubblica: le trattative tra uomini delle istituzioni e uomini della mafia”. “Non conosco il contenuto delle conversazioni intercettate – aggiunge D’Ambrosio – ma quel tanto che finora è stato fatto emergere serve a far capire che d’ora in avanti ogni più innocente espressione sarà interpretata con cattiveria e inquietante malvagità”.

“L’affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni, sempre accresciutisi sulla base dell’esperienza del rapporto con lei, restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me” gli risponde il presidente Giorgio Napolitano il giorno dopo. Attacchi ce ne saranno ancora, prevede Napolitano che assicura D’Ambrosio che “li affronteremo insieme come abbiamo fatto egli ultimi giorni”. D’Ambrosio è scomparso lo scorso 26 luglio, un mese dopo questa lettera in cui Napolitano ribadiva che “la sua vicinanza e collaborazione resterà per me preziosa fino alla conclusione del mio mandato, preziosa per sapienza, lealtà e generosità”. Napolitano concorda con D’Ambrosio che definì distorto l’uso del proprio ruolo da parte di magistrati, giornalisti e politici. Il Capo dello Stato conforta poi D’Ambrosio ribadendogli “l’apprezzamento unanime del mondo della giustizia e di chiunque l’abbia conosciuta”. “Lo sforzo cui la invito non è facile; e lo so perché non solo a esemplari servitori dello Stato, ma anche a politici impegnati in attività di partito e nelle istituzioni, possono toccare amarezze e trattamenti tali da ferire nel profondo” aggiunge Napolitano che, ironicamente conclude guardando alla sua storia ed ai molti attacchi subiti che D’Ambrosio “potrà rilevare leggendo qua e là mia autobiografia politica, che le invio come segno di amicizia e fiducia”.

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