Roma, 26 set. (LaPresse) – L’affaire Sallusti comincia il 18 febbraio 2007 quando su ‘Libero’ apparve un corsivo a firma Dreyfuss in cui si attaccava la decisione presa dal giudice torinese, Giuseppe Cocilovo, di concedere a una 13enne di abortire per interrompere una gravidanza indesiderata. La giovane infatti successivamente a quella decisione venne ricoverata in una clinica psichiatrica. Proprio questo sviluppo della vicenda, raccontato da ‘La Stampa’ il 17 febbraio e poi ripreso da ‘Libero’ il giorno successivo con un articolo di Andrea Monticone, portò al corsivo, in cui si sosteneva che “se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice”. Il corsivo non era di Sallusti, che essendo il direttore della testata avrebbe potuto firmarlo. Però il giornalista ne è comunque responsabile. Cocilovo si sentì diffamato e fece causa: in primo grado ottenne un risarcimento di 5mila euro da Sallusti e 4mila da Monticone. In appello le pene sono state aggravate: il 17 giugno il giudice milanese Pierangelo Guerriero ha infatti inflitto 14 mesi a Sallusti e 12 a Monticone. Oggi la vicenda arriva in Cassazione. Sallusti rischia il carcere in quanto già condannato per fatti simili, a differenza di Monticone cui è stata sospesa la pena. Da più parti si è sostenuto che dietro Dreyfuss si celasse Renato Farina, giornalista radiato dall’Ordine dei giornalisti ed oggi deputato del Pdl, che ammise di aver pubblicato notizie false fornitegli dai servizi segreti in cambio di denaro. Lo pseudonimo Dreyfuss richiama il famoso affaire scoppiato nel 1894, quando l’ufficiale Alfred Dreyfuss fu ingiustamente accusato di tradimento. Fu Emile Zola nel 1898 con il suo famoso ‘J’accuse’ titolo di un articolo pubblicato su ‘L’aurore’ ad avviare la grazia e la riabilitazione del militare.

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